Nel suo messaggio di commiato, Fidel Castro ha voluto dire la sua, ancora una volta, sul futuro dell’economia cubana, invitando il PCC a darsi una linea di apertura al mercato, ma “con prudenza”.
E il congresso del partito comunista dovrebbe approvare una serie di riforme, che vanno dall’eliminazione del libretto di razionamento, all’accettazione della libera iniziativa e della proprietà privata, almeno in una certa misura, così come al taglio del numero di dipendenti statali.
Anche Cuba, quindi, prende atto, sebbene non ufficialmente, del fallimento del comunismo e dell’economia pianificata, tentando un aggancio al libero mercato, per rilanciare lo sviluppo del Paese, senza mettere in dubbio la vecchia guardia comunista, che guida lo stato da ben 52 anni.
Sarà in grado lo stesso gruppo dirigente a mettere in atto le riforme necessarie a rinnovare Cuba? Difficile dare una risposta, ma di certo il fatto che le redini del potere siano rimaste nella stessa famiglia non depone in favore di una reale apertura di Cuba al mondo e al capitalismo. Inoltre, è difficile che la stessa classe politica, che ha fatto dell’ideologia comunista una bandiera da utilizzare in funzione anti-americana e anti-occidentale, possa ora tornare sui suoi passi proponendo e attuando un cambiamento radicale di impostazione economica e culturale.
C’è senz’altro il desiderio di furbizia a L’Avana, di fare cioè come a Pechino, dirsi comunisti, ma fare da capitalisti, in modo da salvare faccia e strutture di potere.
Ma a Cuba il comunismo ha fino ad oggi avuto un nome, Fidel Castro, e non è così irreale ipotizzare che tutto quanto venga giù, non appena l’ex lider maximo uscirà del tutto di scena.