Adesso si parla con insistenza di riforme perché, come ha ammesso lo stesso Fidel qualche mese fa in un’intervista a un giornale straniero, “il comunismo non funziona ormai neanche a Cuba”, sottolineando quasi in modo plateale e clamoroso come l’isola non riesca a svilupparsi sulla base dei principi del socialismo.
E dopo la caduta del muro di Berlino, con il venire meno dei fondi sovietici che assicuravano la crescita dell’isola, Cuba si trova in grandi difficoltà economiche, a cui gli stessi dirigenti di partito hanno tentato di mettere una pezza, ricorrendo ai meccanismi del libero mercato, pur senza ammetterlo e senza mai mettere in pubblico in dubbio la verità del comunismo ideologico e dogmatico. Si cerca, ora, di lanciare un programma di concessione delle terre fertili ai contadini, attraverso una sorta di usufrutto decennale, che di fatto lascierebbe la proprietà nelle mani dello stato, ma consentirebbe ai contadini di usufruirne come fosse di loro proprietà, con i benefici che se ne trarrebbero in termini di crescita della produttività.
Il modello di ispirazione parrebbe essere la Cina, ma qui nessuno del partito vuole sentire parlare di liberismo o capitalismo. Non lo permetterà Raoul, che ha già garantito che ogni riforma avrà l’obiettivo di salvaguardare i principi del sistema socialista. Lo stato continuerà ad essere imperante nella vita delle persone, ma si studia il modo di salvare la faccia, introducendo qualche meccanismo di libero mercato, di cui Cuba ha disperato bisogno per crescere.