Alla luce di quanto accaduto sul prato del “Santiago Bernabeu” di Madrid e soprattutto alla luce delle dichiarazioni avvenute nel “ventre” della sala conferenze interna allo stadio, possiamo dire che anche Mourinho, volente o nolente, deve imparare a perdere.
Mou, che ai suoi aveva citato Einstein, riadattando proprio per questa semifinale la teoria della relatività a sua immagine e somiglianza, sembra aver sbagliato qualche calcolo e tutti sanno quanto al “perfettissimo” del pallone possa dar fastidio essere “imperfetto”, anche per una sera solamente.
I “perchè?” retorici del post-partita, scagliati come dardi infuocati, sono in fondo per lo Specialone un’arma a doppio taglio. Certo, è vero che nelle ultime quattro sfide contro i blaugrana il Real è rimasto in dieci, ma è altrettanto vero che se il Real, la squadra ad aver vinto il maggior numero di titoli contintentali, sceglie di giocare aspettando il palleggio dei migliori del mondo tentando di romperne le trame offensive (e anche qualche tibia…) con un gioco sporco alla continua ricerca del fallo, un pò di colpa deve avercela anche il re del triplete.
Ed ecco che i “porquè?” di ieri sera perdono il loro significato, tornando come boomerang impazziti proprio da chi li ha gettati per colpire qualcuno ma che poi si ritrova con il naso rotto.
Forse sono più questi i “perchè?” ai quali il mago di Setùbal non è riuscito a rispondere e, forse, erano indirizzati proprio a sè stesso.
Tuttavia, la prima semplice risposta è una soltanto, e cioè che il Real di Mourinho non è l’Inter di Mourinho. Sì, la corazzata invincibile che lo scorso anno era in grado di fare il bello e cattivo tempo dentro e fuori gli italici confini non si assomiglia nemmeno un pò alla nuova creatura in camiseta blanca del signor “Zeru tituli”. Ciò è evidente e la conferma è data dalle parole di CR7, che dice di adattarsi a un gioco che non ama; cosa che non sarebbe mai uscita dalle labbra di Milito o Snejider neanche un anno fa, quand’erano pronti a lasciare la pelle sul campo pur di star al fianco del proprio condottiero.
Altro elemento assai rilevante è l’effetto-Mou sulla piazza madridista. Se a Milano il portoghese era visto come il signore delle masse, tant’è che bastava una giusta ammonizione per far partire la panolada di San Siro, ora lì a Madrid la sua parola non è più vangelo e il suo fare sembra dare leggermente fastidio.
Infine, la cosa più scontata, della quale però il calcolatore Mou forse non si è ancora reso conto è che la dea bendata non può baciare sempre lui, nonostante il suo fascino irresistibile e la sua aria maledetta.
Per il momento Guardiola e il Barça schiantano silenziosamente un Real chiacchierone, tuttavia non bisogna mai dar per finito l’allenatore dei blancos, già dalla gara di ritorno. Non si sa mai che il “Camp Nou” possa trasformarsi con un’impresa in un “Camp Mou”.