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Tunisia, torna calma dopo violenze a Sidi Bouzid

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Giuseppe Timpone

Sembra quasi un destino per la città di Sidi Bouzid. Fu qui che nel mese di dicembre del 2010, un venditore ambulante, Mohammed Bouazizi, si diede fuoco davanti alla sede del governatore locale per protestare contro le condizioni di miseria e per le privazioni di cui era stufo. Il giovane uomo era un venditore di gelsomini e morì in ospedale dopo due settimane di agonia. Ma la sua morte e il suo gesto estremo segnarono una svolta nella coscienza dei tunisini, che da lì a pochi giorni iniziarono quella che fu definita la “Rivoluzione dei Gelsomini“, che travolse il potere autoritario di ben Alì e scatenò una “Primavera Araba” in tutto il Medio Oriente. Oggi, a dieci mesi di distanza, è sempre Sidi Bouzid la sede di nuovi focolai di tensione, che sono sfociati improvvisi e inattesi a quattro giorni dalle pacifiche prime elezioni libere del dopo ben Alì.

La goccia che ha fatto traboccare il fatidico vaso è stata la cancellazione da sei circoscrizioni di Pétition Populaire, una formazione politica guidata dal miliardario Hachmi Hamdi, residente a Londra, che ha svolto una dura campagna elettorale, anche grazie a una rete televisiva di sua proprietà.

Il partito di Hamdi è stato accusato di violazione delle leggi sul finanziamento ai partiti, nonchè di ospitare tra le sue liste alcuni esponenti del disciolto Rcd, il partito di ben Alì, ai quali per legge viene vietato di candidarsi per almeno dieci anni. Ma qui, a Sidi Bouzid, Pétition Populaire aveva stravinto e l’annullamento della lista in sei circoscrizioni ha portato a un calo dei seggi all’Assemblea Costituente, dove il partito è passato da 26 a 19 deputati, scavalcato da tre partiti, mentre si era posizionato secondo.

Di notte, tra il giovedì e il venerdì, la sede cittadina di Ennahda, il partito islamico moderato uscito vincitore dalle elezioni, è stata presa d’assalto dai manifestanti e data alle fiamme. Anche il municipio è stato in parte saccheggiato e devastato per protestare contro l’ingiustizia subita. E malgrado sin da ieri sembra tornare la calma, i sostenitori di Hamdi hanno annunciato il blocco delle strade e una sorta di sciopero generale spontaneo. “Siamo noi che abbiamo fatto la rivoluzione”, gridano, “noi abbiamo dato il nostro sangue per la libertà e la democrazia”. La conferma di quanto difficile sia la ricostruzione del tessuto democratico in un Paese, che per 24 anni ne è stato privato.

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Giuseppe Timpone