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L’ultima liberalizzazione del governo Berlusconi? Le armi da fuoco

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Giuseppe Di Spirito

La cosiddetta “anagrafe delle armi” è stata cancellata con un articolo del maxiemendamento alla legge di stabilità, proprio quello che sarà ricordato come l’ultimo atto del governo Berlusconi, approvato subito prima delle dimissioni del premier. Il “Catalogo nazionale delle armi comuni da sparo” era stato introdotto nel 1975 per monitorare il tipo di armi che circolano nel nostro paese ma non vi sono stati mutamenti alla normativa su porto, acquisto e detenzione e quindi non vi saranno conseguenze sulle modalità di vendita ai cittadini; discorso diverso per quanto riguarda il controllo delle armi che entreranno nel nostro paese.

In altre parole, per poter avere l’ok alla circolazione, le armi dovevano essere “omologate” prima di entrare in commercio, in modo che lo Stato avesse un quadro preciso e completo delle tipologie legittimamente vendute. Parrebbe che ora la trafila non sarà più questa ed il potenziale “omesso controllo” che si verrà a creare, secondo alcuni, determinerà delle difficoltà per le forze dell’ordine, insieme al rischio di vedere in commercio armi non sufficientemente testate e “sicure”.

Secondo Enzo Letizia, segretario dell’Associazione nazionale funzionari di Polizia (Anfp) con questo provvedimento si permette il commercio di armi “più pericolose”: “È scandaloso che i lobbisti e gli affaristi del mondo delle armi approfittino del gravissimo momento di difficoltà del paese per tentare, con un sotterfugio, di ottenere dal Parlamento in via speditiva ciò che il Parlamento ha di recente loro negato”. Il segretario del Silp-Cgil (Sindacato Italiano Lavoratori Polizia) Claudio Giardullo sembra condividere le preoccupazioni: “L’abolizione del Catalogo avrà un effetto diretto rispetto alla distinzioni tra armi comuni da sparo e armi da guerra. Il che vuol dire che verrebbe autorizzata una diffusione di quelle armi che hanno un maggiore potenziale offensivo e che ad oggi nel nostro paese non è consentita” e conclude mettendo in guardia dai risvolti giuridici: “Oggi un modello di arma che non è inserita nel catalogo è considerata clandestina e dunque illegale“.

Di tutt’altro avviso è l’Anpam, l’Associazione nazionale dei produttori di armi e munizioni, che non ritiene allarmante l’abolizione del Catalogo, ma anzi in linea con quanto previsto dalle direttive dell’Europa, ritenendo improprio definirla una vera e propria “liberalizzazione”: “I cittadini non potranno detenere armi sostanzialmente diverse dai quasi 20.000 modelli catalogati. Restano inalterate infatti le categorie delle armi comuni da sparo già previste dalla legge, detenibili dai cittadini autorizzati, già in linea con quanto previsto dalla direttiva europea e dagli altri Paesi dell’Unione”.

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Giuseppe Di Spirito