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Romney vince anche in Nevada, nomination più vicina

Published by
Giuseppe Timpone

Ancora un altro voto, ancora un altro stato che si è espresso nella lunga corsa per la nomination del Partito Repubblicano. Si tratta del Nevada, il quinto caucus, dopo l’Iowa, il New Hampshire, il South Carolina, la Florida. E adesso l’identikit del candidato repubblicano che sfiderà Barack Obama alle elezioni presidenziali del 6 novembre inizia a prendere corpo. Ed è quello di Mitt Romney, partito favoritissimo il 3 gennaio scorso in Iowa, ma poi arenatosi in quel del South Carolina, dove è avvenuto il rilancio dell’ex speaker della Camera, Newt Gingrich.

Tuttavia, dopo l’inattesa affermazione due settimane fa, Gingrich non è stato in grado di capitalizzare il momento di debolezza del suo avversario diretto, il mormone Romney, in difficoltà per quelle notizie poco gradevoli sulla sua situazione finanziaria, per via del conto da dieci milioni alle Cayman e per il 14% di tasse pagato su un reddito di 42 milioni di dollari.

E, ieri, infatti, Romney ha bissato il risultato favorevole già della Florida, dove ha vinto con ampio margine su Gingrich e gli altri avversari, ottenendo una vittoria di larga misura anche in Nevada. Già dai primi dati, quando era stato scrutinato solo il 10% delle schede, i media americani avevano assegnato con certezza la vittoria a Romney, per via della forte differenza di voti tra lui e Gingrich. In effetti, l’ex governatore del Massachussetts ha stravinto con il 44% dei consensi, contro il modesto 25% dell’ex speaker e il 18% del libertario Ron Paul. Ultimo è Rick Santorum, che si gioca l’ultima chance di restare ancora in corsa con il Colorado, dove si vota tra due giorni, oltre al Minnesota.

Qualcuno avrebbe previsto facilmente la vittoria di Romney in uno stato, dove oltre un quarto della popolazione è di feda mormona, seguita da una percentuale altrettanto alta di protestanti. Pare che il 90% dei mormoni abbia votato proprio per il loro candidato. Il fattore religioso è essenziale in un Paese come gli USA, anche se finora ha tramato contro le chances di Romney di strappare con largo anticipo la nomination di Tampa.

Nella notte, subito dopo l’arrivo dei dati che indicavano una sconfitta bruciante, Gingrich ha smentito in conferenza stampa le indiscrezioni che lo vorrebbero già ritiratosi dalle primarie e ha attaccato a testa bassa il suo rivale, sostenendo che si tratta di una voce messa in giro da questi per indebolirlo in modo disonesto.

Ma adesso che la strada per la nomination sembra in discesa per Romney, i toni saranno destinati a intensificarsi e forse a diventare più brutali, se è vero che un primo assaggio Gingrich lo ha dato qualche ora fa, quando ha affermato che non è un buon segno che il finanziere George Soros sostenga il suo rivale, definendo Obama e Romney due candidati sostanzialmente simili.

Questo sarà un ritornello da qui alla fine di questa estenuante maratona delle primarie, perché è evidente che Gingrich cercherà di rinvigorire la base conservatrice del partito, che non vede di buon occhio la finanza e Wall Street, giudicati tra i mali della società americana.

Potrebbe sembrare un paradosso per i paladini della libertà economica e, invece, i Tea Party sono avversari di quanti vivono di borsa, esprimendo un sentimento profondo di diffidenza, che esiste tra gli elettori di destra dell’America profonda, che hanno un’idea di società basata sull’arricchimento per il lavoro, non con i clic speculativi.

E, tuttavia, anche questo elemento non fa che giocare contro lo stesso Gingrich, il quale se vorrà arrivare alla Casa Bianca avrà bisogno proprio dei lauti finanziamenti di Wall Street, che stanno affluendo copiosi nelle tasche di Romney. Ciò è anche frutto di una certa diffidenza con cui i finanzieri hanno sempre guardato l’ex speaker della Camera, che ha una carriera da professore universitario di storia, non proprio congeniale per il mondo della borsa, sebbene poi abbia “recuperato” con un’intensa attività di lobbista a Washington.

Segnale inquietante per la Casa Bianca è che in soli tre mesi si è praticamente invertito il rapporto di superiorità nei finanziamenti in favore di Democratici e Repubblicani. A fine dicembre, Obama vantava quasi 82 milioni di contributi, contro qualcosa in più dei 20 milioni in favore del GOP. Oggi, Romney e il Partito Repubblicano possono godere già di 93,4 milioni di dollari, contro gli appena 68 milioni di Obama.

Si preannuncia, quindi, come il nuovo appuntamento elettorale da record, quanto a finanziamenti e spese folli per le presidenziali. D’altronde, che il colore dei soldi influenzi i flussi elettorali lo dimostra forse anche quanto accaduto in Florida una settimana fa. Romney era dato sotto Gingrich per almeno 8-10 punti percentuali. Nel giro di un fine settimana ha rimontato di quasi 30 punti, stracciando il suo avversario, grazie a oltre sei milioni di dollari investiti in spot abbondanti contro l’ex speaker, che ne hanno mostrato un volto meno rassicurante di quanto fosse stato propinato fino a quei giorni. Non sarà solo questo a determinare il risultato, ma i dollari aiutano. Lo sa Gingrich a sue spese, potrebbe scoprirlo pure Obama tra nove mesi esatti.

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Giuseppe Timpone