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Banche e divani salvano le lavoratrici Omsa, firmati gli impegni per il trasferimento alla Atl

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Giuseppe Di Spirito

Si prospetta ormai una felice conclusione per la vicenda delle lavoratrici Omsa, con l’impegno sottoscritto stamane da parte del gruppo Golden Lady di cedere entro fine marzo lo stabilimento di Faenza alla società Atl Group dell’imprenditore Franco Tartagni, produttrice di divani. Il piano di reindustrializzazione dell’area è stato discusso stamane a Bologna nella sede della Regione Emilia Romagna, e comprende l’adeguamento impiantistico dello stabilimento, con il successivo trasferimento delle unità produttive della Atl di Forlì, compresi tutti i dipendenti, nuovi macchinari e l’assunzione di almeno 120 lavoratrici ex Omsa, circa il 50% di quelle messe in cassa integrazione. Una piccola area rimarrà proprietà Golden Lady che manterrà una struttura commerciale di vendita, Golden Point, reimpiegando a sua volta alcune lavoratrici.

Il tavolo di confronto tra Atl e sindacati si protrarrà per discutere delle condizioni di assunzione delle risorse umane, fino alla metà di aprile quando le parti saranno convocate al Ministero dello Sviluppo Economico per esaminare gli eventuali accordi.

La copertura finanziaria di circa 20 milioni di euro verrà fornita da un gruppo di banche, con il trasloco potrebbe avvenire la prossima estate per iniziare la produzione dei divani in autunno. Il Comune di Faenza, si è intanto impegnato a sveltire le autorizzazioni amministrative necessarie per una rapida realizzazione del progetto. Al tavolo di stamane ha partecipato anche il presidente della Regione, Vasco Errani, che parla dell’avvio di una fase nuova, dalla quale non si può tornare indietro: “Per la prima volta c’è un progetto vero di reindustrializzazione dell’area Omsa: non era una cosa scontata, date le condizioni di crisi in cui agiamo. Occorre un percorso rapido, conservando la compattezza avuta fino ad oggi e mettendo al primo posto il lavoro”.

La crisi dell’Omsa si era aperta a Natale del 2009, quando fu resa pubblica l’intenzione di chiudere la fabbrica che contava 346 dipendenti, quasi tutte donne. Una scelta non motivata dalla crisi ma dalla convenienza della delocalizzazione in Serbia, per stessa ammissione dell’Azienda. Dopo due mesi di agitazioni e scioperi, al ministero fu firmato un accordo che autorizzava la chiusura, con due anni di cassa integrazione straordinaria per le operaie, ma con l’impegno ad adoperarsi per la riconversione del sito produttivo.

Inizialmente la decisione della Golden Lady ebbe un notevole impatto mediatico, specie per le motivazioni che l’avevano prodotta, con numerose apparizioni su stampa e tv, ed un grande numero di appelli al boicottaggio del marchio, partoriti sul web e Facebook.

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Giuseppe Di Spirito