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USA 2012, Romney in testa su Obama. Aperto toto-vice

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Giuseppe Timpone

Quando siamo a un passo dal primo turno delle elezioni presidenziali francesi, avanza inesorabile anche la campagna elettorale per le elezioni presidenziali in America, dove nel Super-Tuesday del 6 novembre si deciderà il destino del prossimo inquilino della Casa Bianca: Barack Obama o Mitt Romney. Sì, perché adesso contro il presidente in carica non c’è più il generico e tanto atteso “Mr.X”, ma un candidato in carne e ossa, dopo che l’italo-americano Rick Santorum, unico a insidiare l’ex governatore del Massachussetts alle primarie del GOP, si è ritirato la settimana scorsa con grande classe, sia per effetto degli ultimi risultati deludenti, sia anche per via della malattia della piccola Bella, la figlia che ha riportato un aggravamento delle condizioni durante il weekend di Pasqua.

Sono rimasti in gara gli outsider Newt Gingrich e Ron Paul, ma che non dovrebbero impensierire più di tanto Romney, vista la distanza siderale sia nei consensi che nel numero di delegati sinora ottenuti.

Romney ha superato la soglia psicologica della metà dei 1.144 delegati necessari per ottenere la nomination ufficiale del partito ad agosto, alla convention di Tampa Bay. E adesso la sua campagna elettorale è già svoltata, dato che ormai da giorni l’attenzione pubblica non è più incentrata sulle polemiche interne ai Repubblicani, bensì sulla sfida a distanza tra Romney e Obama. Vero è che la corsa per le primarie prosegue, ma si è già trasformata in un’occasione per girare gli States, alla ricerca di visibilità e fondi elettorali, necessari a coprire le spese sostenute e quelle molto più ingenti, che stanno per essere effettuate, per cercare di raggiungere la Casa Bianca.

Obama contro Romney, quindi. E se il profilo del candidato è ben delineato, ora, i sondaggi iniziano a basarsi su uomini veri e non su un generico candidato repubblicano. Questa è la grande differenza, rispetto a una sola settimana fa.

E le rilevazioni delle intenzioni di voto confermano la sensazione del Partito Repubblicano di poter combattere alla pari e cercare di sconfiggere il presidente in carica, ora che sono quasi del tutto cessate le ostilità interne. Nel giro di due giorni, due sondaggi rinvigoriscono la candidatura del candidato mormone, che per Gallup sarebbe al 47%, contro il 45% di Obama. Tenendo presente che il margine di errore statistico è del 3%, la superiorità sarebbe insignificante, ma molto indicativa, perché si tratta di uno storico “sorpasso”, dopo mesi di inferiorità e di ripresa dell’attuale inquilino alla Casa Bianca.

Un altro sondaggio è quello realizzato da Cbs News/New York Times, secondo cui entrambi i candidati sarebbero appaiati al 46%, un’altra bella notizia per Romney, che ha davanti a sé altri cinque mesi e mezzo per strappare il mandato al presidente.

Lo stesso giorno dell’abbandono di Santorum della gara interna, alcuni analisti facevano notare che pur con i sondaggi ancora più favorevoli, Obama avrebbe ottenuto solo 266 grandi elettori, contro i 262 di Romney, stando ad alcuni calcoli.

Ovviamente, anche Obama avrà il tempo per tentare di allargare il consenso, sebbene indubbiamente la situazione economica non gioca molto dalla sua parte, per quanto la ripresa dell’occupazione c’è.

Un solo dato su tutti. Dal secondo dopoguerra ad oggi, nessun presidente è stato mai rieletto con un tasso di senza lavoro oltre il 6%, con la sola eccezione del 1984 di Ronald Reagan. Tuttavia, allora si evidenziava una ripresa robusta dell’economia e dell’occupazione, cosa che non si può certo dire oggi.

Alcuni stati sono i cosiddetti “swing”, ossia quelli che oscillano da una parte e l’altra dell’arena politica, essendo così determinanti nella lotta per la Casa Bianca. Non è affatto un caso che uno dei nomi che circola per la candidatura alla vice-presidenza di Romney sia quella di Marco Rubio, chiamato anche l’Obama della destra. Si tratta del famoso senatore di origini cubane, popolare tra la base conservatrice del GOP, che potrebbe fare la differenza in Florida, dove la comunità degli esuli di Cuba è molto forte e generalmente vota molto più a destra. E proprio la Florida, insieme ad altri stati-chiave, come l’Ohio, è considerato traballante.

L’altro nome forte è quello dello stesso Rick Santorum, che avrebbe il consenso degli evangelici del sud e dell’elettorato più conservatore, nonostante sia un ultra-cattolico.

Il fattore religioso, tuttavia, è stato ultimamente ridimensionato. Qualche mese fa si sussurrava tra la stampa politica che l’80% degli elettori repubblicani non avrebbe accettato di votare per un mormone, ma oggi pare che il problema di Romney non sia affatto la sua confessione religiosa, quanto essere riconoscibile sui temi sociali, dopo i suoi trascorsi da repubblicano moderato, non del tutto contrario all’aborto.

Per questo, la vice-presidenza dovrebbe andare a uno dei volti più vicini ai conservatori, un pò come fu con Sarah Palin nel 2008. Ma per questo dovremmo aspettare qualche mese ancora. Se e quando Romney raggiungerà la maggioranza dei delegati per farsi nominare candidato ufficiale dal partito, allora scioglierà la riserva e la campagna entrerà nel vivo e sarà a tutto tondo. Dall’altra parte, la scelta di tenere Joe Biden alla vice-presidenza non è un cattivo segnale per i repubblicani, trattandosi di un personaggio politico di scarso carisma personale.

 

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Giuseppe Timpone