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Categorie: News Politica

Obama: la vigilia dell’11 settembre con in tasca discorso sulla Siria

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Giulia Papapicco

Ieri sera l’atteso discorso alla nazione, alla vigilia dell’11 settembre, spettro che già ha influenzato quelle riflessioni contrarie all’ intervento missilistico auspicato da Obama. Il disinteresse, poi, degli americani fa la sua parte. Il presidente sembra stretto in una morsa che o lo schiaccerà di fronte agli occhi del mondo o gli varrà se non altro il “premio” per la caparbietà, viste le numerose interviste che sta tenendo da tre giorni su tutte le televisioni americane e il primo discorso alla nazione proprio sulla tematica scottante, per ora solo politicamente, della guerra siriana.

Anche la gestualità che ne accompagna le parole, ha un ruolo fondamentale: Obama si avvicina al leggio con reverenza e inizia il suo discorso, improntato principalmente a spiegare le motivazioni della sua linea d’azione. La sua capacità comunicativa è volta  a convincere gli americani e non solo i membri delle Camere. Il primo argomento è proprio la natura della guerra siriana: dalle proteste alla guerra civile, dai 100.000 morti alla scelta dell’epoca in cui iniziarono gli scontri, di non risolvere una guerra civile con un’azione militare, per raccogliere la lezione di Iraq e Afghanistan (gli USA se ne sono dovuti occupare anche dopo l’azione militare, ribadisce). Da qui i toni di denuncia verso l’attacco di Assad del 21 agosto nel quale le armi chimiche hanno ucciso troppi civili: una delle parole ricorrenti proprio da questo punto del discorso, sarà “bambini”.

Retoricamente elenca momenti nella storia in cui si è fatto uso di tali armi e la risoluzione in chiave americana siglata da un accordo del 1997 partito proprio dal Senato, che ne vietava l’uso e al quale ha aderito il 98% dei Paesi mondiali. Perché attaccare? Perché senza un “no” della comunità internazionale, altri dittatori in futuro potranno farne uso, anche Turchia, Giordania, Israele, l’Iran, senza pensarci su due volte. Costruisce poi la parte più importante del discorso, giocando sulle domande voltegli da politici e da elettori, estratte dalle lettere ricevute: è vero che gli USA sono stanchi di guerre, ma promette che non sarà un conflitto lungo come quelli del passato (citando Libia e Kossovo); a chi gli chiede che senso abbia attaccare, ma non far decadere Assad, risponde che una dittatura non si elimina con un attacco militare, e questo servirà da deterrente non solo per il regime siriano. E certo, comprende le preoccupazioni circa una ritorsione da parte di Assad, ma tranquillizza gli americani elogiando e garantendo la sicurezza del sistema di sicurezza nazionale; è una situazione complicata quella mediorientale, ma se non si interviene in difesa dei civili, la Siria diventerà terreno fertile per Al Qaeda.

L’America non è il poliziotto del mondo, vero, e si stanno aprendo altre strade come quella diplomatica, insieme ad altre forze politiche mondiali (citando Putin e il prossimo appuntamento di Kerry col ministro degli Esteri russo Lavrov, giovedì a Ginevra e le posizioni degli Emirati Arabi) ma fa parte della storia americana da sette decadi, non voltare lo sguardo su fatti così inconcepibili. Chiede ai politici dell’una e dell’altra parte di seguirlo e di prendere visione tutti, anche gli americani telespettatori, dei video che testimoniano l’uso dei gas tossici letali. serve una risposta, con un attacco senza rischi e mirato. Lo spirito patriottico e il tono incisivo delle ultime battute, serviranno a smuovere le coscienze? Obama ha ricordato il rinvio delle votazioni proprio per concedere una chance alla risoluzione diplomatica, ma è anche vero che la situazione nel Mediterraneo armato, non è cambiata. Le notizie e le indiscrezioni circa i termini di un accordo che potrebbe essere preso nel palazzo dell’Onu, con la firma di Assad, ancora non convincono. E non convincono perché la visione dell’assetto pro e contro (Obama-Cameron-Holland e Putin-Cina) comunque influenza le clausole di un accordo. Emblematico come nel discorso di Obama il richiamo ad Al Qaeda sia posto in un momento focale del discorso, ma solo accennato: attaccare per necrotizzare un plausibile legame con la Siria. L’America non deve perdere ulteriormente credibilità, altrimenti l’equilibrio precario instaurato con una parte del mondo arabo mediorientale, rischia di compromettersi per sempre.

Il minuto di silenzio in commemorazione delle vittime di quel tragico giorno, avviene in un momento in cui il silenzio non deve calare sulla questione urgente siriana: cosa ne sarà della votazione delle Camere?

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Giulia Papapicco