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Categorie: News Politica

La gestione della situazione mediorientale secondo la politica americana

Published by
Giulia Papapicco

Torna a far parlare di sé la situazione mediorientale. Nelle ultime ore, in Somalia, è stato catturato dai SEALs uno dei leader del gruppo di terroristi responsabile del massacro al Westgate mall di Nairobi. In Libia invece giungono notizie circa le operazioni di cattura di Nazih Abdul-Hamed al-Ruqai alia Abu Anas al-Liby ricercato per l’attentato alle due ambasciate americane in Africa, del 1998.

Da queste notizie prende spunto il New York Post, per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla guerra contro il terrorismo. I soli SEALs non possono condurre e vincere la guerra contro gli estremisti islamici pronti ad immolarsi per la causa. Il presidente Obama appare indeciso su diverse questioni come la gestione delle crescenti tensioni in Afghatistan, l’intervento in Siria, le riforme del diritto, le modalità di riapertura del governo federale e accusato di essere invece fin troppo deciso nell’ordinare ai SOF (Special Operations Forces) raid contro i terroristi. Per questo viene sarcasticamente appellato come SOF-friendly. Circa le due operazioni sopra citate, aleggiano sospetti sulle modalità di attacco a cui si aggiungono gli interrogativi sulla oscillazione della decisione di un attacco in Siria: qualora gli USA non agissero, regalerebbero terreno ad Al Qaeda (questa una delle opinioni prese in considerazione per altro dallo stesso Obama) sminuendo così gli interventi dei Marines e dei rinomati SEALs.

La Somalia rimane ancora senza un sistema legislativo definito, ma è un esempio di come l’intervento americano unito all’Unione Africana, abbia avuto un qualche successo nel ristrutturare parte del Paese: rafforzando il dominio del governo di Mogadiscio e respingendo, con l’obiettivo di eliminarla un giorno, l’influenza del gruppo terroristico presente sul territorio. La Libia invece è lontana da tutto ciò a causa di un mancato intervento di americani e forze alleate, congiunto. In Afghanistan l’incertezza regna: non è ancora chiaro se nel 2014 rimarranno sul territorio forze americane a garantire una qualche forma di appoggio al nuovo governo. Peggiore la situazione in Iraq dopo l’inizio dell’allontanamento dei militari americani, tanto da far riportare i livelli di violenza a quelli del 2008. Per di più Al Qaeda è riuscita a espatriare con successo, nella vicina Siria dove tutt’ora alimenta la guerra civile. Se la Casa Bianca non risponde a tutti i punti interrogativi che contraddistinguono le situazioni riportate, si rischia di rendere vano il lavoro delle forze militari americane sparse in tutti quei territori.

Ed è proprio la situazione siriana che costituisce il punto interrogativo più evidente. Con gli evidenti problemi organizzativi creati dallo “shutdown”, il governo federale si è concentrato su altro, ma la situazione in Siria peggiora di giorno in giorno, basta contare il numero dei siriani sbarcati clandestinamente sulle coste italiane negli ultimi giorni.
I primi ordigni e testate chimiche sono stati distrutti con il monitoraggio dell’ONU, mentre il segretario di Stato americano Kerry, annuncia che dopo l’incontro con l’omologo russo, le cose stanno per cambiare: USA e Russia concordano e fanno pressione all’ONU per ottenere quanto prima (si spera per la prima metà di novembre) una conferenza di pace.

Si attendono quindi risposte da Obama. Libia, Somalia, Afghanistan, Iraq…e la Siria?

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Giulia Papapicco