Pochissimi giorni fa il Senato ha approvato, con centoquarantatre voti a favore, un decreto che prevede anche misure urgenti contro il femminicidio. Sel, Lega nord e M5S si sono astenuti. Dichiarando inaccettabile quanto proposto dal Governo che, insieme alle misure contro le violenze sulle donne, prevede anche misure per i cantieri della Tav, l’aumento delle pene per le frodi informatiche soprattutto se legate al furto d’identità , “interventi a favore della montagna per la valorizzazione e la salvaguardia dell’ambiente e per la promozione dell’uso delle energie alternative” ma anche disposizioni finanziarie per l’accelerazione del Programma operativo nazionale (Pon) sulla sicurezza nelle regioni del Mezzogiorno.
I provvedimenti contro il femminicidio avevano un carattere di urgenza e si capisce la scelta del Governo di procedere con un decreto, il problema è che in quel decreto, alla fine, vi è finito di tutto, anche questioni che con il femminicidio non hanno nulla a che vedere. E senza che il Senato potesse, nemmeno teoricamente, apportare delle modifiche per via dei tempi contingentati che rischiavano di far decadere il decreto stesso.
Tuttavia, c’è un punto del decreto che ha scatenato violente discussioni in Aula e fuori tra le donne che fanno parte di movimenti femministi. Ovvero, l’irrevocabilità della querela. Secondo quanto proposto dal Governo e poi approvato da entrambi i rami del Parlamento, le donne non potranno ritirare la querela nel caso di “stalking aggravato” e, in tutti gli altri casi, potranno ritirarla solo di fronte ad un giudice. Questo perché, come sottolineato dalla Presidente della commissione giustizia Donatella Ferranti del PD “le donne infatti avrebbero troppo spesso tendenza a lasciarsi influenzare da chi le minaccia o consiglia di ritirare la querela. Ecco perché le si dovrebbe proteggere da se stesse e dalla loro fragilità ”. Altre esponenti del PD, come Michela Marzano, sostengono il punto di vista opposto, chiedendosi “Si può confondere la necessaria protezione di chi subisce stalking e violenza con il morboso paternalismo di chi, in nome della protezione, pretende difendere le donne anche da loro stesse?”
Numerose associazioni femministe hanno espresso la propria preoccupazione su questo punto, sostenendo che, procedendo in questo modo, molte donne sarebbero dissuase sin da subito dall’andare a denunciare gli uomini violenti. Inoltre, la misura in questione non tiene in conto nemmeno il carattere del fenomeno, che non è solo una questione emergenziale, ma anche e soprattutto strutturale e culturale. Il grande tema che sottende questo dibattito che ha agitato il Parlamento nei giorni scorsi è quello dell’educazione all’autonomia delle donne, che devono imparare che il loro valore non dipende da quello che gli uomini sono disposti a dar loro e devono quindi anche avere la possibilità di autodeterminarsi, sempre e in ogni situazione.
Quello che è almeno non condivisibile di questo decreto, prima di ogni altra cosa, è l’aver messo insieme tanti provvedimenti da far diventare il decreto sul femminicidio un “decreto omnibus” e costringendo quasi a votare provvedimenti certamente urgenti insieme ad altri che invece dovevano avere una possibilità di essere discussi maggiore. In questa situazione, tuttavia, è necessario fermarsi e riflettere se davvero era preferibile lasciar decadere i termini e quindi non avere nemmeno quel poco che questi provvedimenti offrono, o se forse è stato preferibile accontentarsi nel nome della filosofia per cui a volte è meglio poco di niente.