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Obamacare da una parte e Legge di Stabilità dall’altro: come cambiano le riforme alla sanità

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Giulia Papapicco

Se per noi italiani l’assistenza sanitaria è un diritto della comunità e un dovere per lo Stato, oltreoceano non lo è affatto, il che lascia un attimo smarriti. Tutto ciò, tradotto nella realtà, significa che chi non si può permettere di coprire i costi di una assicurazione sanitaria , deve pregare tutti i giorni, tutti i Santi, per evitare non solo di ammalarsi, ma anche di entrare in ospedale. E non pensate che questa fetta della popolazione americana sia di poco conto, tutt’altro, si parla del circa 16%, ma i dati cambiano presto quando si è in un periodo di crisi come questo.

Le cose però dovrebbero cambiare. Questa la base infatti, del Patient Protection and Affordable Care Act o meglio noto con il termine Obamacare, tanto osteggiato dai Repubblicani. Se è vero che esistono dei sussidi, è anche vero che hanno dei limiti e requisiti di accesso. I principali sono il Medicare, il Children’s Health Insurance Program e il Medicaid: il primo prevede sostanzialmente l’assistenza medica agli over sessantacinquenni e ai disabili, il secondo è dedicato ai figli di famiglie modeste non in grado di pagare l’assicurazione e infine l’ultimo, il più importante, dedicato a chi ha un basso reddito. Da qui parte la riforma sanitaria voluta dal Presidente: estendere l’assistenza a chi ha un salario inferiore ai sedicimila dollari annui, introdurre una piattaforma online chiamata “Health Insurance Marketplace” dove poter confrontare i prezzi delle varie assicurazioni e trovare quella più idonea e meno costosa e avere la possibilità di scegliere, entro un range di quattro fasce, che devono però comunque garantire i servizi basilari, la propria.

In Italia la situazione è controversa o comunque ancora non chiara, dopo le parole del Ministro Franceschini, che smentisce tutte le notizie riguardanti la legge di Stabilità. Si attende infatti di conoscere le sorti della Salute Pubblica, con la pubblicazione del ddl. L’allarme è determinato dal pericolo dei tagli: il problema è la distribuzione di queste chiusure ai finanziamenti, i criteri con i quali potrebbero essere determinati. Nonostante le smentite e le rassicurazioni del Governo, la bozza del ddl parla chiaro: sono previsti circa quattro miliardi di euro che verranno a mancare da qui al 2016. Ma non si tratta solo (per modo di dire) di questi tagli: è prevista infatti una rivisitazione dei tetti della spesa farmaceutica territoriale e ospedaliera (dall’11,35% all’11,3% e dal 3,5% al 3,3%) e anche una diminuzione dei tetti per le prestazioni di assistenza ospedaliera e specialistica presso strutture private accreditate. Tradotto in termini pratici significano seicentosessanta milioni di euro risparmiati nel primo caso, ottocentoquaranta nel secondo.

Negli Stati Uniti, accendendo la televisione ci si imbatte continuamente in pubblicità che sponsorizzano le assicurazioni mediche e anche in uno spot che si rivolge a coloro i quali la nuova riforma risulta arabo: è stato attivato infatti un numero telefonico, cui chiedere chiarimenti e maggiori informazioni. Gli americani non sembrano molto d’accordo con questa riforma del sistema sanitario, che prevede fra l’altro, un abbassamento dei compensi dei medici (che risultano in grande quantità, indiani).
Le cose comunque sono in via di cambiamento, sia qui che in Italia: il tutto sta nel capire se il cambiamento sia un rinnovamento positivo o qualcosa che vada ad aggiungersi alla mole di problemi economici e sociali che sia l’Italia, sia gli Stati Uniti in parte, devono tenere in considerazione.

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Giulia Papapicco