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Categorie: News

Dove sono finiti i trentenni?

Published by
Osvaldo Danzi

La metto subito sul Personale. Sulla selezione del personale.
Un’azienda la scorsa settimana mi commissiona quattro posizioni, ben pagate, a tempo indeterminato. Quelle col contratto e con la tredicesima, per intenderci. Figure di tutto rispetto, credetemi, dall’amministrazione, agli acquisti, passando dal commerciale e dall’Information Technology. Ce n’è per tutti.
Figure con prospettiva di crescita, che di questi tempi oserei definire un vero “colpo di fortuna” (vorrei scrivere in altro modo, ma la redattrice mi cassa tutte le parolacce!), soprattutto per quella generazione che è costantemente in guerra con la società per la mancanza di opportunità professionali.

Ma l’età media del vero disoccupato non è 25 anni. A 25 anni si va a fare il pony express o a consegnare le pizze, si fa il cameriere nei bar di Rimini, l’animatore nei villaggi, gli stage in azienda e le fotocopie. Lo abbiamo fatto tutti. Serve a drizzare la spina dorsale, a uscire di casa, a imparare a farsi da mangiare e a salutare mammà e il caffellatte a letto tutte le mattine. Si impara a interagire con un “capo” e con i colleghi”. A 25 anni se hai studiato Giurisprudenza non fai Perry Mason nelle aule di tribunale, se hai studiato Ingegneria non progetti il Ponte di Calatrava, se hai studiato Lettere non salti sui banchi come Robin Williams ne “l’attimo fuggente”. Anche perchè questo Paese delle mille e una lobby, non te lo permette. A 25 anni ti fai il mazzo. Come è stato per tutti noi.

Invece, ultimamente, sembra che la “gavetta” (si dice ancora così?) sia diventata una sorta di scandalo di cui non parlare e i Governi hanno capito che l’argomento “occupazione giovanile” è una moneta di (voto di) scambio molto allettante, e si prodigano per favorire i giovani, tantissimi e desiderosi di “entrare in azienda” o di “fare impresa”. Ma anche in questo c’è un evidente scollamento con la realtà.

Si, perchè sarà colpa di Google o di Facebook se qualche giovanotto di belle speranze, tornato da un viaggio pagato da papà a Silicon Valley, ha deciso che il suo futuro è in una “startup” e non in azienda. E non appena questi giovani sono diventati dieci, cento, mille, ecco spuntare le “organizzazioni per le startup”, i giornali che parlano di startup, i gruppi su facebook che si scambiano insulti (che loro chiamano confronti) su come fare startup. I guru delle startup senza case histories. Imprenditori senza portafoglio, senza un piano di business, senza aver mai venduto nemmeno un calzino, che parlano di “venture capital”, di “innovazione”, di “incubatori”. Non impiegati, non imprenditori, ma liberi startuppers!

Non è un caso se in Italia di startup se ne parli, ma nessuno le fa.

Bene. Tornando al punto. Ho acquistato i miei spazi su un paio di canali di recruiting on line famosi, ho sfruttato la mia esposizione sul web forte di quasi diecimila contatti Linkedin, i relativi canali social e i gruppi. E sono arrivati, in poche ore, oltre 400 curriculum.

Premetto da subito: io dico curriculum, non curricula. Ho fatto il classico, lettere, conosco il latino, anche meglio di qualsiasi altro liceale perchè l’ho anche ripetuto a settembre tutti e cinque gli anni, ma rispetto una regola della lingua italiana che è: le parole straniere – e il latino è considerato tale – al plurale si declinano al singolare. Altrimenti perchè dire I referendum e non i referenza? Per ulteriori approfondimenti leggere qui
E comunque sia, anche Severgnini la pensa come me! Tiè.

Scusate la divagazione.

L’azienda mi ha fatto ben capire, pur non potendolo esprimere chiaramente, che il management è molto giovane (35-45 anni), l’ambiente di lavoro è conseguentemente un filino ancora più giovane e pertanto, “sarebbe gradito” ricevere candidature in linea con la media. E poi, con “tutti sti giovani a giro….”

Domenica sera ero sul divano a scremare curriculum, avvilito.

1961. 1967. una signora del 1959. Il più giovane, un “ragazzo” di Bergamo del 1976. Ma di Bergamo. Sposato, tre figli. Io il lavoro ce l’ho su Bologna.
Si, perchè il vero disoccupato di anni ne ha 40, 45, 50. Ha una famiglia, un mutuo da pagare, difficoltà a cambiare città e un’età che per cui in questo Paese ti fanno sentire un vecchio, ma energie ancora da stravendere ed un’esperienza che le aziende sembra non riconoscano più come un valore aggiunto. Ma per la Pensione il Paese ti chiede ancora 30 anni di lavoro, mentre “costruisce” piani di crescita per “i giovani”

Ma “tutti sti giovani” che cercano lavoro, dove sono? Dove sono i trentenni?
“Ma andatevene a fare startup”, mi verrebbe da dire.

Published by
Osvaldo Danzi