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“Stop al gasdotto”, l’Italia rischia di perdere il gas libico

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Michele Soliani

«Proprio in queste ore il terminal di Mellitah da cui parte il gasdotto Greenstream, che raggiunge la Sicilia, è sotto attacco da parte di manifestanti che ci stanno spingendo a chiudere completamente le esportazioni verso l’Italia». La notizia è stata data nella giornata di ieri dall’amministratore delegato di ENI, Paolo Scaroni, durante un’intervista su Radio 1. A queste parole si è poi aggiunta la rassicurazione che non vi saranno particolari problemi per il nostro paese nell’immediato visto che altre forniture arrivano da «da tante parti del mondo» e inoltre il nostro Paese sta godendo di un clima «particolarmente benevolo».

Fonti vicine all’impianto hanno poi affermato durante la giornata che la situazione è al momento sotto controllo. Il problema riguarda i difficili rapporti sorti in Libia all’indomani della caduta di Gheddafi. Il paese sta tentando con tutte le forze possibili di evitare la dissoluzione anche con l’invio di truppe italiane.
Il terminal del gas è gestito da una società mista Eni-Libia che controlla in parti uguali gli impianti. Fornisce all’Italia 17 milioni di metri cubi di gas al giorno attraverso il gasdotto GreenStream.

Questo si colloca all’interno del «Western Libyan Gas Project» progetto volto a valorizzare il gas libico attraverso la sua esportazione attraverso uno dei più grandi gasdotti, ovvero quello qui sopra citato.
Greenstream venne realizzato, dopo la sua ideazione negli anni settanta, a tempo di record, i lavori iniziarono nell’agosto del 2003 e si conclusero nel febbraio 2004. Con la sua lungezza di 520 Km, è il più lungo gasdotto mai realizzato nel mediterraneo. Il cosiddetto «Porto di partenza» si trova proprio a Mellitah, luogo delle contestazioni di questi giorni, mentre il terminale a Gela, in Sicilia.

Solamente nelle prossime ore si saprà il destino del gasdotto. Parlando a L’economia prima di tutto, l’amministratore delegato del cane a sei zampe ha affermato che il gas proveniente dall’ex «quarta sponda» copre circa il 15% dei nostri idrocarburi a cui si dovrebbero aggiungere quelli provenienti anche dalla Nigeria, attualmente in difficoltà dal punto di vista dell’ordine pubblico.

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Michele Soliani