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Categorie: Cronaca News

Prato, incendio nella fabbrica dell’ “insostenibile illegalità”

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Giulia Papapicco

Sette le vittime dell’incendio divampato domenica mattina intorno alle 7 in una fabbrica di pronta moda a Prato. Non una fabbrica qualsiasi ma una prigione a tutti gli effetti che è diventata una trappola mortale. Le cause sono ancora da chiarire, potrebbe essere stato un mozzicone di sigaretta non accuratamente spento, una scintilla partita da un cortocircuito causato da una piccola stufa o di una fuga di gas proveniente dal cucinino fatiscente. In realtà, la vera causa è sotto gli occhi di tutti: l’indifferenza. Tutti, non solo i toscani, sappiamo che a Prato c’è un’altissima concentrazione di cinesi che lavorano ininterrottamente soprattutto nel settore tessile, in condizioni disumane. Ma finora si è fatto sempre troppo poco.

Le prime ricostruzioni lasciano senza parole, perché non ci sono molte parole per descrivere la disumanità delle condizioni di vita e di morte di queste persone, così disperate da rinunciare a tutto, anche alla vita, per sopravvivere lavorando ininterrottamente. E lo fanno anche per un euro all’ora o 40 centesimi a vestito. E il racket cinese ha una parte importante in tutto ciò: manodopera usa e getta a costo zero, sempre reperibile. Le fiamme e il fumo si sono diffuse in brevissimo tempo a causa del fatto che i muri erano in cartongesso, i loculi dove questi invisibili vivevano erano in cartone. Fa rabbrividire il racconto di quei pompieri che hanno dovuto segare le grate di una finestra per prelevare quello che rimaneva del corpo di una vittima che ha tentato disperatamente di trovare salvezza nell’ossigeno ma che invece è stata uccisa dal monossido di carbonio e divorato dalle fiamme. C’era anche un bambino nel capannone.

La Procura di Prato ha aperto un’inchiesta e i capi d’accusa sono: omicidio colposo plurimo, disastro colposo, omissione di norme di sicurezza e sfruttamento di mano d’opera clandestina. Ma tutto ciò non basta e a dirlo è il procuratore della Repubblica Piero Tony: “La maggior parte delle aziende sono organizzate così: è il far west” e prosegue: “I controlli sulla sicurezza e su ciò che è collegabile al lavoro, nonostante l’impegno di tutte le amministrazioni e delle forze dell’ordine, sono insufficienti. Siamo sottodimensionati: noi come struttura burocratica siamo tarati su una città che non esiste più, una città di 30 anni fa“.

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha definito la situazione lavorativa di questo esercito di invisibili una “condizione di insostenibile illegalità e sfruttamento” e ha esortato non solo le amministrazioni locali ma anche le istituzioni nazionali ad avviare politiche diverse, più concentrate e con interventi diretti. Possono essere i mancati finanziamenti alle forze dell’ordine una delle concause di questa tragedia? Molti dei cinesi presenti nella fabbrica e salvatisi dal rogo sono senza nome, risultano fantasmi nel nostro Paese. Da dove di può iniziare? Forse dalla stessa fabbrica che ha preso fuoco domenica mattina e da quella accanto. Non è e non deve diventare solo un fatto giuridico come il reato di clandestinità ma una questione di dignità, di dignità per gli italiani perché è qui che sono morte queste persone e qui che continuano a sopravvivere a ritmi impossibili. Spesso schiavi di un debito che difficilmente riusciranno a ripagare.

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Giulia Papapicco