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Categorie: Cronaca News

Mafia, Totò Riina minaccia ancora il pm Di Matteo

Published by
Raffaella Russi

Totò Riina, “il capo dei capi” di Cosa Nostra, torna a minacciare il pool di magistrati che indaga sulla trattativa Stato-mafia.
Vittorio Terresi, Francesco Del Bene, Roberto Tartaglia e soprattutto Antonino Di Matteo sarebbero nel mirino del boss corleonese che, dal carcere di Opera dove è rinchiuso, ha in vari modi fatto sapere quali sarebbero le sue prossime intenzioni.

Un secondino avrebbe sentito Riina urlare “Di Matteo deve morire. E con lui tutti i pm della trattativa, mi stanno facendo impazzire, fosse l’ultima cosa che faccio”, mentre parlava con un boss della Sacra Corona Unita dopo aver seguito in video l’ultima udienza del processo sulla trattativa Stato-mafia, che si svolge a Palermo. E non sarebbe nemmeno la prima volta che si manifesta la loquacità della “belva”, come è chiamato il boss per la sua ferocia sanguinaria.

Ad occuparsi delle minacce ai magistrati della trattativa è ancora la Procura di Caltanissetta.
Aver scelto Palermo come luogo in cui riunire il Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica non è stato casuale, come ha spiegato il vicepremier e ministro dell’interno Angelino Alfano. Questa decisione risponde alla necessità di far sentire la presenza e il sostegno dello Stato ai magistrati coinvolti nella tristissima vicenda. E ha anche comunicato che, come richiesto a gran voce da diverse associazioni, tra cui le Agende rosse di Salvatore Borsellino, la scorta di Di Matteo avrà a disposizione il “bomb jammer”. lo strumento in grado di bloccare i segnali radio dei telecomandi in un raggio di duecento metri fu già chiesto 21 anni fa da Giovanni Falcone, senza che venisse però concessa l’autorizzazione, con le stesse motivazioni usate oggi per giustificare le titubanze nel caso Di Matteo.

Il procuratore capo di Palermo, Francesco Messineo, ha escluso un trasferimento di Di Matteo e della sua famiglia in una località segreta. La misura eccezionale è stata finora messa in atto solo nel 1985 per Falcone e Borsellino. Mandati all’Asinara, in un ex carcere, mentre preparavano i documenti del maxiprocesso, ai due giudici fu poi chiesto di pagare le spese per i consumi nel periodo di “soggiorno”.
Siamo profondamente allarmati per la pubblicazione della notizia delle minacce che Totò Riina avrebbe rivolto al pm di Matteo e ai colleghi che indagano sulla trattativa perché, ammesso che siano vere, queste minacce sembrano una chiamata alle armi che il boss fa ai suoi contro i magistrati che svolgono questa inchiesta e sono visti come ostili” ha aggiunto ancora Alfano.

Già da molto tempo pare che a Palermo tiri la stessa aria del periodo 1992-93, gli anni degli attacchi frontali di Cosa Nostra allo Stato con le stragi di Capaci e via D’Amelio, le bombe a Roma, Milano e Firenze. Tanto che lo stesso Alfano, durate la conferenza stampa dopo la riunione del Comitato per la sicurezza, ha sottolineato come non sia da escludere un ritorno alla strategia stragista della mafia.

Ma Falcone e Borsellino non morirono quando scoppiarono i 500 chili di tritolo sotto l’autostrada o la macchina in via D’Amelio. Morirono perché furono lasciati soli, dai cittadini e dallo Stato. Questo, invece, dovrebbe essere il tempo giusto per evitare altri martiri.

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Raffaella Russi