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Categorie: News

India, reintrodotto il reato di omosessualità

Published by
Giulia Papapicco

In India la Corte Suprema ha dichiarato l’omosessualità reato, vietando quindi i rapporti gay. Una regressione al passato questa sentenza che fa discutere anche per le modalità con le quali avviene. Nel 2009 infatti i magistrati dell’Alta Corte di Nuova Delhi avevano cancellato questo reato con una sentenza che aveva creato un precedente “storico”, ma ieri una nuova sentenza, da un tribunale di più alta autorità, ha fatto storia riportando le lancette indietro.

Una legge quella contro l’omosessualità che affonda le sue radici in tempi lontani, quando l’India era sotto la dominazione britannica, circa 150 anni fa. Essa stabiliva che l’omosessualità fosse un crimine contro natura punibile con 10 anni di prigione. Poi nel 2009 una prova di civiltà, che ne aveva decretato la depenalizzazione. Ma negli ultimi tempi molte le proteste e le raccolte firme di associazioni religiose, vere e proprie petizioni, che invocavano a gran voce il ritorno del reato. Infine la risposta della Corte Suprema che ha il sapore della beffa giuridica, un cavillo che impedisce la modernità: dev’essere il governo a occuparsi della legislatura e non una sentenza di un tribunale. Incostituzionale quindi quella vittoria del 2009.
Il governo però tramite le parole del procuratore generale aveva dichiarato alla Corte Suprema nel marzo 2012: “Il governo indiano non trova alcun errore nella sentenza dell’Alta corte e ne accetta la correttezza“.

Incomprensibile il ritardo con cui arriva questa “puntualizzazione” ma sta di fatto che le cose cambieranno, e non poco, per gli omosessuali indiani. Nascondere la propria identità sessuale non è facile ma quando si aggiunge la paura di ritorsioni penali, la convivenza diventa tragica. Si teme che chi, per ovvi motivi, tenterà di nascondere la propria sessualità, non si rivolgerà più alle strutture sanitarie. Ecco dunque che i problemi che ne derivano non sono solo di natura giuridica ed ecco perché le parole di Ananthapadmanabhan, chief executive di Amnesty International India, sono molto secche: “Questa decisione è un duro colpo ai diritti, all’uguaglianza, alla privacy e alla dignità“.

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Giulia Papapicco