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Categorie: Food Lifestyle News Salute

Il grosso, grasso problema della celiachia

Published by
Tatjana Ucci

Le ricerche stimano che un italiano su cento non potrebbe mangiare pasta, pane, pizza e biscotti.
Insomma, tutti quegli alimenti che contengono glutine. Prodotti ad esempio con le farine di grano, orzo o segale. Ciò è dovuto al malassorbimento causato dall’abbassamento dei villi intestinali fino a scompensi del sistema immunitario. Non è una cosa da niente quindi.

Chi è celiaco deve prestare molta attenzione a ciò che mangia; i commensali devono evitare a ogni costo di contaminare il suo cibo. Anche una minuscola, quasi invisibile, briciola può provocare notevoli scompensi e danni all’intestino.

Sono 122 mila i casi accertati ogni anno, ma sono 500 mila, e forse di più, quelli “sommersi”. Ci si nasce, celiaci. Ma ci si diventa, anche.

“Ogni anno sono 10mila le nuove diagnosi fra adulti e anziani” dice Alessio Fasano, direttore dell’University of Maryland’s Mucosal Biology Research Center e del Celiac Research Center, ennesima eccellenza mondiale guidata da un cervello italiano.

I celiaci, inoltre, devono fare i conti con l’esplosione di un’economia sbagliata: il cibo senza glutine è carissimo. E bisogna ringraziare il cielo che la qualità sia migliorata di gran lunga rispetto al passato. Ma i soldi sono molto importanti. Insomma: il celiaco bada al palato, lo Stato paga e i produttori incassano. È un giro “losco”.

“Sono celiaco” e nei ristoranti i camerieri non ti guardano più come se fossi un marziano riso/mais-dipendente. Anzi, l’intolleranza al glutine la porti a tavola con orgoglio, e quel tuo panino semi-plastificato che prima nascondevi come un ladro, ora fa persino un po’ “chic”.

Perché la celiachia ha preso coscienza del suo male cronico delle società occidentali, e ora deve fare i conti. Poi c’è chi sceglie di diventare celiaco, eliminando il glutine da tavola credendo che possa servire per restare in forma. E non c’è niente di più sbagliato, sia perché chi non è affetto da celiachia ha bisogno di assumere glutine, sia perché il cibo gluten free, senza mezzi termini, ha molte più calorie del cibo “normale”. Ma il senza-glutine deve essere il must, il pane quotidiano, per il celiaco. E prima o poi ci si abitua a tutto, no?

Da noi, per legge, la celiachia è considerata una “malattia sociale”. I prodotti gluten-free sono annoverati tra gli alimenti dieto-terapeutici e come tali sono sovvenzionati dallo Stato, che provvede a erogarne un quantitativo mensile gratis tramite il Servizio sanitario nazionale e il circuito farmaceutico.

Il ministero della Salute, nel 2006, ha fissato un contributo di sostegno alimentare che ammonta a 140 euro per gli uomini, 99 per le donne e a cifre minori per i bambini (ma alcune Regioni lo integrano per garantire la parità tra i sessi). Il punto però è che così il cliente finale non è il celiaco, ma lo Stato. Qualche tornaconto c’è sempre, col risultato che all’aumentare del numero delle diagnosi, e quindi dei consumatori celiaci, il prezzo dei prodotti invece di diminuire addirittura sale. È un privilegio essere celiaci, devi quasi aprire un mutuo per permetterti una super spesa di prodotti gluten-free

Dietro la celiachia si nasconde anche il business delle false diagnosi, che grazie a test più o meno efficaci (diversi ad esempio dalla canonica ricerca degli anticorpi anti-transglutaminasi nel sangue, o dalla gastroscopia) avrebbe creato finora più o meno 3 milioni di nuovi celiaci, non validati scientificamente, che investono in alimenti speciali 35 milioni l’anno. Altri soldi che entrano nelle tasche dello Stato…

L’affare è presto diventato un guadagno anche per i ristoranti. Basta guardare che, a oggi, sono più di duemila quelli segnalati sul brevetto dell’associazione italiana celiachia, e il gluten-free è sbarcato anche negli Autogrill.

Il ragionamento è semplice: per ogni cliente celiaco c’è sempre almeno un accompagnatore “normale”, ed ecco che la “malattia sociale” diventa un banale moltiplicatore micro-economico. Altri soldi che girano.
Poi però quando si va all’estero ci si accorge che lì le cose funzionano in maniera diversa; gli stessi alimenti si vendono regolarmente al supermercato, magari con linee di produzione apposite, e costano molto di meno, con differenze fino al 60 per cento.

Anche quando si tratta di una malattia cronica lo Stato italiano ha, come si suol dire, le braccina corte.

La celiachia non è una moda chic, che fa tendenza e serve per guadagnare. È una malattia seria, con cui molta gente deve per forza convivere.

Il gluten free non è uno stile di vita scelto; celiaci ci si nasce o ci si diventa ma, soprattutto, si resta.

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Tatjana Ucci