Quanto si è disposti a pagare un HR Director affinchè contribuisca alla crescita dell’azienda dove opera?
Ma cosa si chiede a questi professionisti in cambio di tale trattamento?
Di diventare il leader della trasformazione, del cambiamento.
In aiuto arriva l’outsourcing, ovvero l’esternalizzazione di alcune attività prima gestite all’interno; tendenza misurata in crescita che porterà ad affidare all’esterno ben il 30% delle attività HR nei prossimi 3 anni.
Questo è un dato fornito dalla ricerca dell’Osservatorio HR Innovation Practice della School of Management del Politecnico di Milano, effettuata su oltre 100 direttori HR italiani.
Da molto tempo ormai l’outsourcing riguarda la parte amministrativa (budget del personale, amministrazione) alla quale si stanno affiancando altre attività più strategiche come la selezione del personale, la valutazione delle performance e la formazione, ma si prevedono grossi aumenti dell’outsoucing anche per la HR Business Intelligence e la comunicazione interna.
Ma liberare tempo per quanto sia importante non basta; bisogna costruire i ruoli e le competenze per interpretare l’HR in maniera diversa.
È questo l’altro messaggio forte che arriva dalle analisi dell’Osservatorio “in molti casi la direzione HR deve ancora trovare la determinazione a cambiare e superare compiti prevalentemente operativi” spiega il responsabile scientifico dell’Osservatorio Mariano Corso.
Le principali sfide da affrontare riguardano le competenze per supportare i processi di business (67% degli intervistati), per favorire l’innovazione e il cambiamento organizzativo (55%) e per affiancare il top management nelle decisioni strategiche (38%).
L’HR Journey
, così come viene definito nell’analisi, è un percorso evolutivo che passa attraverso 4 principali ambiti di trasformazione: innovazione digitale, ruoli e competenze, scelte di sourcing, modelli di organizzazione del lavoro.
E’ un viaggio interessante ma nello stesso tempo faticoso e trasformante che obbliga gli HR manager ad affrontare nuovi modi di lavorare, uscire dai loro uffici 1.0 dove si parla la lingua rassicurante di sempre e confrontarsi con la lingua del business, con il workspace 2.0 realmente aperto e social dove la conoscenza ha valore solo se condivisa.
E penso al mio primo capo, Direttore del Personale in un’ austera città al Nord, che passava le sue mattinate fuori dal portone, passeggiando dalle 8 alle 9.15 nel viale adiacente all’ingresso dipendenti, controllando gli arrivi degli impiegati affannati per il ritardo del tram n°10 che arrivava dall’altra parte della città o per il parcheggio in ora di mercato rionale. Cosa direbbe di me, adesso, che lavoro da casa.