È tutta italiana la sperimentazione che ha portato all’impianto di una protesi alla mano capace di comunicare con il cervello.
La protesi, battezzata LifeHand 2, è frutto di un progetto che vede l’Italia in prima linea, con medici e bioingegneri dell’università Cattolica Policlinico Gemelli e dell’Università Campus BioMedico di Roma, della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e dell’Istituto San Raffaele di Roma. Nel gruppo di ricerca sono presenti anche l’Ecole Polytechnique Federale di Losanna e l’Istituto Imtek dell’università di Friburgo.
Dennis Sorensen ha subito un incidente nel lontano 2004, quando un petardo è esploso provocandogli l’amputazione della mano sinistra, ed ora è riuscito a coronare il suo sogno di avere un arto che funzioni davvero.
Parallelamente il gruppo guidato da Silvestro Micera, docente di Bioingegneria nell’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e nell’Ecole Polytecnhique federale di Losanna, ha sviluppato una serie di algoritmi in grado di trasformare in un linguaggio comprensibile al cervello di Sorensen le informazioni provenienti dalla mano artificiale.
L’intervento è perfettamente riuscito e Sorensen ha dichiarato che “tornare a sentire la consistenza degli oggetti, capire se sono duri o morbidi e avvertire come li impugnavo è stato incredibile”.
Il paziente ha dovuto sottoporsi ad una serie di esercizi durati otto giorni, durante i quali ha riconosciuto la consistenza degli oggetti in oltre il 78% dei tentativi effettuati.
Il risultato raggiunto è di grande rilevanza e non può far altro che spingere i ricercatori a proseguire il progetto di integrare questo tipo di protesi con un numero sempre maggiore di sensori tattili.