Va avanti da più di tre giorni la protesta contro il malgoverno in Bosnia. La miccia sembra esplosa dopo l’ennesima chiusura di alcune fabbriche a Tuzla, per la quale sono rimasti a casa centinaia di operai. La rabbia della popolazione è divampata in un vortice di furia e distruzione: a tutt’oggi decine di palazzi governativi continuano a fumare dopo gli incendi dei giorni scorsi nella capitale, a Tuzla e Mostar.
Ieri pomeriggio si è dimesso il premier cantonale Suad Zeljkovic, cedendo alla violenza con cui centinaia di manifestanti si erano radunati sotto il palazzo della presidenza bosniaca. Il bilancio degli scontri è di trentasette arresti e sono coinvolti anche sei minorenni, che si aggiungono ai centoquarantaquattro feriti dei giorni scorsi – principalmente agenti, di cui dodici in gravi condizioni.
Neanche vent’anni dopo il sanguinoso conflitto interetnico di cui la Bosnia-Erzegovina è stata protagonista, l’atmosfera torna dunque a farsi calda. Stavolta però il conflitto vede contrapposta la popolazione all’élite che la governa. Per anni i cittadini sono stati portati all’esasperazione da una classe dirigente incapace di traghettare la Bosnia fuori dalla disastrosa condizione seguita alle guerre dei primi anni novanta; al contrario, la Bosnia non è stata in grado neanche di recuperare lo scarto con gli altri paesi dell’ex Jugoslavia.
La chiusura delle fabbriche a Tuzla infatti è solo l’ultimo effetto di politiche sociali sempre più inconcludenti, che hanno fatto perdere il lavoro a circa il quaranta percento dei bosniaci. Costretti fronteggiare la crisi economica globale in condizione di povertà dilagante, si è infine arrivati agli scontri: sassi contro i palazzi governativi e la polizia, incendi e infiltrati delle tifoserie calcistiche più violente a sobillare la folla.
La polizia è intervenuta con proiettili di gomma e gas lacrimogeni, ma non sono bastati e la sede del governo cantonale di Sarajevo è stata data alle fiamme. Stessa sorte per l’archivio statale, salvatosi dalla guerra del ’92 e pieno di documenti storici risalenti ai tempi dell’Impero Austro-Ungarico. Saban Zahirovic, direttore dell’archivio, ha annunciato che gli idranti con cui i vigili del fuoco hanno sedato l’incendio hanno irrimediabilmente rovinato tutto quello che vi era contenuto: “è un crimine, è tanto triste tutto questo“, conclude.
Durante la notte scorsa sembrava essere tornata la calma, in seguito a numerosi arresti. “La violenza non è una soluzione, ma almeno obbligherà i politici ad affrontare più seriamente la situazione nel Paese“, aveva dichiarato l’esponente musulmano della presidenza tripartita Bakir Izetbegovic.
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