Il caso “Renzi”, da icona a nemico della sinistra

Il “nuovo Obama”, l’ “Obama italiano“: così lo aveva ribattezzato la stampa di sinistra un paio di anni fa, in occasione della sua vittoria alle primarie per la scelta del candidato sindaco del Pd a Firenze, quando il giovane e rampante Matteo Renzi, considerato un outsider rispetto agli altri candidati di struttura delle varie anime del partito, aveva scalzato tutti, vincendo la consultazione e poi bissando qualche mese dopo, battendo il suo rivale del Pdl, Filippo Galli. Che Matteo Renzi rappresentasse una novità per il Partito Democratico, sebbene al momento solo di portata locale, lo si era intuito subito; molto diverso il suo modo di fare campagna elettorale, molto poco ideologico il suo fare politica, improntato a una sorta di pragmatismo, che lo aveva contraddistinto, mentre il circo mediatico della sinistra lo sosteneva, risaltandone i tratti peculiari e di grinta. Ma sono passati pochi mesi e la sinistra ha bruciato il suo ennesimo uomo, con una tradizionale inclinazione a divorare i suoi figli, accusati tutti, prima o poi, di avere contravvenuto all’ortodossia politico-religiosa del partito. La colpa di Renzi? Essere quello per cui era stato tanto lodato agli inizi della sua ascesa politica, un giovane riformatore.

Non sono piaciute ai piani alti del Pd certe nomine di Renzi al Comune di Firenze, dove uomini fedelissimi alla sinistra sono stati soppiantati da persone non della coalizione, addiritura vicine all’opposizione di centro-destra. Non sono piaciute al Pd, inoltre, certe esternazioni del sindaco fiorentino, accusato ora di fame di visibilità e di sete di immagine.

E così, ufficialmente, il divorzio tra il Pd e Renzi si realizza in occasione della richiesta di quest’ultimo di rottamare i dirigenti nazionali, accusati di essere alla guida del partito da troppo tempo, senza idee e senza un futuro prospettabile per il partito. Renzi il “rottamatore” è diventato da allora, odiatissimo dai vertici nazionali e guardato con estremo sospetto.

Sospetto e odio che trovano il loro culmine agli inizi di dicembre, quando pochi giorni prima della fatidica data del 14 dicembre, che avrebbe dovuto decidere le sorti del governo Berlusconi, Renzi fa il suo ingresso nella villa ad Arcore del Cavaliere, scatenando le reazioni indignate dei media di sinistra e le ipotesi fantasiose più disparate: è andato a destra, s’è venduto a Berlusconi, sono solo alcune tra le frasi più gettonate, che sono girate nell’entourage del centro-sinistra.

Entourage che non apprezza le dichiarazioni continue di Renzi di abbandonare l’anti-berlusconismo e di battere il centro-destra, proponendo una piattaforma programmatica convincente, anzichè sperare di volta in volta nei giudici o nella spallata di qualche alleato di Berlusconi.

E fu così che Matteo Renzi ha posto fine alla sua luna di miele con il Partito Democratico, che come un cinico produttore di Hollywood, è prontissimo a spingere chicchesia sotto i riflettori luccicanti dei media e altrettanto pronto a scaricarlo brutalmente al primo impaccio.

 

 

Impostazioni privacy