Arabia Saudita, carcere e torture contro chi chiede riforme

Se il vento della primavera araba sembra soffiare un po’ su tutto il Medio Oriente, c’è un Paese più di tutti, che al contrario sembra percorrere la strada inversa dal punto di vista del rispetto dei diritti umani: l’Arabia Saudita. E’ clamoroso che lo stato in prima fila nella lotta contro il regime sanguinario di Assad e che ha definito “contrari alla legge mussulmana” le violenze di Damasco contro la popolazione civile, in realtà, ne adotti gli stessi comportamenti, con una censura sulla stampa e in ogni luogo del Paese che forse non ha eguali in nessun altro stato arabo. Una decina di giorni fa, 16 persone sono state processate in tribunale, con la colpa di avere a vario modo richiesto riforme e osato criticare il sistema di presunta corruzione delle istituzioni di Riad. Non terroristi, non gente che si è macchiata di atti sanguinari o di proteste fuori dalle righe. Niente di tutto questo, che è impensabile in questo angolo del mondo. Trattasi di semplici persone che hanno tentato di proporre riforme. Alcuni di questi hanno sostenuto di essere stati costretti a confessare anche il falso, sotto tortura.

Nove di questi osarono nel 2007 fondare un’associazione per la difesa dei diritti dell’uomo. Tra i processati c’è pure un religioso sciita, la cui unica colpa è stata la richiesta di riforme durante un discorso tenuta in moschea. Un altro è stato messo in carcere e posto in isolamento per due mesi, restando ancora in attesa di processo, per essere sceso in piazza l’11 marzo scorso per la Giornata della Collera, unica persona in tutta l’Arabia.

E il giro di vite è solo all’inizio. Una legge anti-terrorismo voluta dal monarca prevede pene detentive durissime contro coloro che osano manifestare contro le istituzioni, attraverso una parificazione tra chi protesta e i terroristi. Una legge che mira a mascherare la volontà della monarchia di reprimere qualsiasi dissidente, con incarcerazioni che possono essere allungate, anche senza un processo. E questa estate, una donna di 32 anni che aveva pubblicato sul suo profilo Facebook un suo video girato mentre guidava, era stata incarcerata un paio di settimane e poi rilasciata. Alle donne, infatti, è impedita la guida e tale fatto aveva scatenato sulla rete l’iniziativa Women2Drive, alla quale avrebbero aderito non più di una quarantina di donne, che hanno sfidato il regime mettendosi al volante.

In quell’occasione, Riad diede ordine alle forze dell’ordine di ignorare il più possibile tali atti di protesta, per non creare tensioni e anche per non dare alle donne adito di parlare di violazione dei loro diritti. Ma è stato l’unico momento di “bontà” di quella che può ancora essere considerata una monarchia assoluta. Uno dei sedici malcapitati è stato incarcerato solo per avere riso in tribunale. Un affronto alle istituzioni che rappresentano Sua Maestà!

 

 

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