Spread vicino a 400 punti, giù Piazza Affari

La lunga pausa pasquale non ha portato alla resurrezione dei titoli di stato e in borsa per l’Italia, che sulla scia dell’andamento delle altre borse europee sfiora un calo del 3%. A metà pomeriggio, Piazza Affari si conferma maglia nera del Vecchio Continente, con l’indice Ftse Mib che perde il 2,89% e trascinata al ribasso, in particolare, dal comparto bancario e in misura minore da quello assicurativo. Intesa Sanpaolo è il titolo che perde di più tra gli istituti di credito italiani, con oltre il 4% in calo, seguita da Banco Popolare (-3,61%) e Unicredit (-3,26%).

Ma le cattive notizie non si fermano alla borsa. Oggi, in linea con il trend in peggioramento delle due settimane precedenti, il differenziale di rendimento tra i titoli di stato decennali italiani e quelli tedeschi è arrivato a sfondare la barriera dei 39o punti base, a quota 395 bp, collocandosi ai livelli più alti degli ultimi due mesi. Per trovare, infatti, uno spread simile bisogna risalire al 16 febbraio scorso, quando la seduta aveva esitato un differenziale di 392 punti base.

Fa impressione dirlo, ma in meno di un mese, l’Italia ha bruciato 100 punti di spread, che pure si era ristretto a meno di 280 punti verso la terza settimana di marzo. Avevamo iniziato ad assaporare realmente la prospettiva di una normalizzazione dei mercati finanziari, ma non appena l’illusione si era fatta realistica, il sogno è sfumato come una nuvola di fumo. Oggi, un BTp a dieci anni rende sul mercato secondario il 5,60%, quando fino a un paio di settimane or sono eravamo scesi sotto la soglia psicologica del 5%. Un Bund della stessa scadenza rende intorno all’1,65%, ai minimi di sempre, a conferma di come i mercati siano tornati fibrillanti e timorosi sulla crisi del debito.

Quanto sta accadendo oggi riflette in parte anche l’esiguità degli scambi, che caratterizza generalmente le sedute successive alle festività. I volumi di bond governativi scambiati sul “grey market” sono bassi, ma il trend rispecchia il pessimismo degli operatori e della stampa finanziaria d’Oltreoceano, piuttosto timorosa sull’evoluzione della situazione economica in Italia e Spagna.

E’ un pessimo segnale, in vista delle aste di domani e giovedì dell’Italia. In particolare, domani il Tesoro dovrà collocare all’asta 11 miliardi di BoT a tre mesi e a un anno, contro gli 8,25 miliardi in scadenza. Per quanto non ci sia preoccupazione, i volumi non sono bassi e stando all’andamento del secondario, sulla scadenza annuale si dovrebbe registrare un tasso del 2% (1,999%), contro l’1,405% registrato appena un mese fa e che aveva suscitato grande entusiasmo tra gli operatori. Anche sulla scadenza a tre mesi ci dovrebbe essere un aumento dei rendimenti, sebbene si tratti di un comparto non trattato sul secondario. Si stima un rendimento dell’1%.

E dopodomani spetta ai BTp. In particolare, si dovranno collocare tre titoli “off-the-run”, di cui uno con scadenza marzo 2015, ossia un triennale. Il mese scorso, l’asta aveva esitato per questo segmento un rendimento del 2,76%, mentre stando al mercato secondario di questi giorni, il rendimento dovrebbe salire ora al 3,9% circa.

Torna così a crescere il costo di rifinanziamento del nostro debito, quando si era avuto un calo evidente nel periodo compreso tra l’inizio dell’anno e la fine di marzo.

A preoccupare sono le condizioni della Spagna, che difficilmente dovrebbe essere in grado di centrare l’obiettivo di un deficit al 5,3% del pil nel 2012, malgrado le rassicurazioni del premier Mariano Rajoy, che sta predisponendo una manovra correttiva di 10 miliardi, pari a circa un punto del pil; la seconda, dopo quella di dicembre, varata appena arrivato al governo.

Continua, inoltre, a impensierire il pessimismo sfoggiato dal quotidiano finanziario americano Wall Street Journal, che prima della Pasqua aveva lanciato un allarme sulle politiche di austerità intraprese dal governo Monti, sostenendo che gli aumenti a raffica delle imposte e tasse decise in questi mesi potrebbero portare al paradosso di una crescita del debito, in rapporto al pil, anziché a un calo, a causa della forte contrazione a cui starebbe sbattendo l’economia italiana.

Si tratta della prima presa di distanza della stampa d’Oltreoceano dalle misure del nuovo governo e segue la bacchettata del giorno precedente dell’inglese Financial Times, che riportava una presunta (smentita dal governo) richiesta di Bruxelles all’Italia per una ulteriore manovra correttiva dei conti pubblici, per contemperare l’aumento dei rendimenti.

E se il componente tedesco al consiglio esecutivo della BCE, Joerg Asmussen, esclude che Francoforte possa accingersi a dare vita a una terza asta Ltro, per pompare ulteriore liquidità nel sistema bancario dell’Eurozona, la notizia evidenzia come difficilmente l’Italia possa guardare con speranza a un restringimento veloce dello spread.

Come già avevano dubitato molti analisti, il calo dei rendimenti dei nostri titoli pubblici era dovuto ad acquisti ingenti provenienti dalle banche, le quali hanno comprato BoT e BTp, per presentare alla BCE un collaterale a garanzia del prestito che avrebbero ottenuto a rubinetto e al tasso agevolato dell’1%, lucrando così anche dal più sostanzioso rendimento offerto dai nostri bond.

 

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