Lega Nord, Bossi minaccia di riprendersi il simbolo

La guerra tra Umberto Bossi e Roberto Maroni è soltanto agli inizi. Anzi, forse non è nemmeno iniziata. Malgrado la spaccatura evidente tra i due personaggi storici del Carroccio, finora non si è registrato un vero e proprio scontro a livello personale, anche perché dopo le dimissioni del primo e l’ondata di pulizie-purghe ad opera del secondo, si è cercato di mantenere un’immagine pubblica di unità nel partito. Il caso Belsito e lo scandalo della distrazione dei finanziamenti al partito rischiano di travolgere la Lega. Di questo ne sono consapevoli tutti, per cui i toni tra le parti, per quanto alti, non hanno ancora superato il livello di guardia.

Ma le cose non andranno a lungo bene, forse, nelle prossime settimane e il primo momento di scontro a muso duro sarà già a fine giugno, quando tra il 30 del mese e l’1 luglio si celebrerà il primo congresso federale del Carroccio, dopo ben 10 anni. L’ultimo, infatti, risale al lontano 2002. Un’altra era, in termini politici, e non solo.

La questione è questa: Maroni si sente già il segretario del partito. E’ vero che esiste al momento un triumvirato, ma Roberto Calderoli non ha né il carisma, né la forza politica per imporsi, visto che potrebbe essere trascinato nelle inchieste e per dirla con le parole della compagna, non avrebbe l’ammirazione tra gli elettori, di cui, invece, gode Bobo. Quanto al terzo triumviro, Manuela Dal Lago, non è certo dello stesso livello di visibilità e potere del collega. Risultato: Maroni gestisce già il partito come fosse roba sua. E a dirlo è ciò che resta del “cerchio magico”, che certamente umiliato e spazzato via dalla leadership della Lega, non è intenzionato a mollare il partito e a lasciarlo all’odiato Bobo.

In particolare, Bossi ritiene in privato che l’ex ministro dell’interno sapesse dell’inchiesta molto prima che la vicenda saltasse fuori pubblicamente e per questo l’avrebbe più volte definito un “traditore”, cosa che in pubblico, al contrario, ha nettamente smentito.

Non va giù, poi, al Senatùr, che Maroni agisca già come se lui non esistesse più. Le sue purghe sono guardate con estremo sospetto, perché è evidente che le cosiddette “pulizie di primavera” mirino a sbarazzarsi di tutti gli oppositori interni, non già di ridare credibilità al partito.

Per questa ragione, pare che l’ex segretario e leader storico abbia minacciato senza troppi giri di parole di riprendersi il simbolo, che sulla base degli atti ufficiali, è una sua proprietà. Infatti, la storia è la seguente. Nel 1984, Bossi fonda con la moglie Manuela e Giuseppe Leoni la Lega Autonomista Lombarda, depositando davanti al notaio il simbolo famosissimo con Alberto da Giussano e che successivamente, quando si unirono tutte le segreterie nordiste, porta anche la dicitura “Lega Nord”. Insomma, quel che oggi conosciamo della simbologia leghista sono giuridicamente beni di proprietà dei tre fondatori.

Su questa vicenda, tuttavia, la storia si arricchisce di un episodio mai ufficializzato, ma che molti all’interno del Carroccio riterrebbero vero. Dopo la rottura a fine ’94 tra Bossi e Berlusconi, la Lega Nord andò per contò suo, sia sostenendo il governo Dini, sia presentandosi da sola alle elezioni politiche del 1996. I toni del Senatùr furono a tratti violenti contro l’ex alleato, aggettivato in varie occasioni come “mafioso”, tanto che Berlusconi lo querelò e chiese in sede civile un risarcimento.

Nel 2000, quando si tornò all’alleanza tra i due, pare che la Lega navigasse in cattivissime acque, tanto che si paventava il rischio di chiudere baracca. Berlusconi avrebbe offerto a Bossi quest’intesa: ritiro delle querele e della richiesta di un risarcimento danni, finanziamento per svariati miliardi di lire alla Lega (si parla di 60 miliardi), in cambio del simbolo del suo partito. In sostanza, oggi il simbolo della Lega non sarebbe nemmeno di proprietà di Bossi o di altri esponenti nordisti, bensì dell’ex premier Berlusconi.

Per questo, su Maroni, che sia vera o meno l’ultima versione, in realtà, pende una spada di Damocle, visto che in caso di esasperazione dei rapporti personali, si ritroverebbe privo di un simbolo, che tra l’elettorato del Nord fa molta sostanza. Non solo. Bossi è in parte proprietario di Pontidafin e Fingroup, le due casseforti, a cui oggi fanno capo un pò tutti i beni della Lega, tra cui Telepadania, La Padania, gli immobili, tra cui quelli di Via Bellerio, i terreni, tra i quali quelli di Pontida.

In soldoni, gli stessi strumenti che il Carroccio utilizza per fare propaganda appartengono al capo storico. Questo rende la posizione di Maroni e dei suoi “barbari sognanti” potenzialmente debole, per quanto questi goda senz’altro della stima della base.

Non è un caso che proprio Giuseppe Leoni, il co-fondatore della Lega, abbia velatamente minacciato Maroni, quando ha espresso l’intenzione di sostenere le pulizie di cui egli parla, ma iniziando dai “traditori”, epiteto con cui l’ex cerchio magico si riferisce proprio all’ex ministro dell’interno.

 

 

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