Borse e spread bocciano Hollande, Cina evita crollo

Malgrado le attese fossero prudenzialmente ribassiste, non erano in tanti ad attendersi un tonfo così marcato e generalizzato sulle borse del Vecchio Continente e l’infiammarsi delle tensioni sui mercati dei titoli di stato. Ma la finanza pare avere reagito piuttosto negativamente alla notizia che il candidato socialista François Hollande sia in testa al primo turno delle elezioni presidenziali. Il presidente uscente Nicolas Sarkozy segue a un punto e mezzo di distanza, ma i mercati sono spaventati dalla prospettiva che i socialisti tornino all’Eliseo dopo 17 anni.

Dopo le prime battute, Milano perdeva nella prima seduta della settimana il 3%, mentre Parigi subiva un calo del 2%, Francoforte dell’1,6% e Madrid intorno al 2,3%.

Con il passare delle ore, la situazione resta complessivamente negativa, anche se cambiano in qualche caso le cifre. Ad esempio, Milano resta in rosso del 2,8%, mentre Parigi mostra un timido recupero, perdendo l’1,5%. Peggiora Francoforte, che intensifica le perdite al 2,4%, mentre Londra perde l’1,5%. In particolare, il peggioramento della borsa tedesca potrebbe riflettere la lettura degli analisti, che intravedono nel voto di ieri in Francia la fine dell’intesa tra Parigi e Berlino e del tanto chiacchierato asse tra Sarkozy e Angela Merkel.

E per capire come sui mercati vi sia una certa tensione, basta guardare ai grafici dei titoli di stato, con il differenziale tra i BTp a dieci anni e i Bund tedeschi per la stessa scadenza, che in mattinata è già arrivato a 408 punti base, in aumento dai 397 bp dell’apertura. Male anche i Bonos spagnoli, il cui spread a dieci anni si allarga dai 427 punti di chiusura di venerdì ai 432 punti di metà mattinata. Oggi, quindi, un BTp a dieci anni rende il 5,74%, mentre un Bonos il 5,99%.

La situazione sarebbe preoccupante, visto che l’Italia è tornata ai livelli di febbraio e ha bruciato ormai tre mesi di miglioramento sul mercato monetario. Le prospettive non sarebbero affatto positive. Da qui al prossimo 6 marzo, i mercati finanziari potrebbero iniziare a prendere di mira sul serio i titoli francesi, nel tentativo di mostrare la propria sfiducia verso il candidato socialista.

Questo porterebbe al pericolo di un tracollo dell’intera Eurozona, visto che a questo punto non si salverebbe alcuna economia, a parte quella tedesca. Almeno per il momento.

Insomma, domina il timore di un contagio della crisi al cuore dell’Europa di serie A. Ma anche il timore che Bruxelles non sia in grado di reggere all’ondata di estrema impopolarità di cui gode tra i cittadini europei. Ieri, infatti, a parte le indicazioni molto chiare uscite dal voto francese, bisogna registrare anche la caduta del governo olandese, dopo che la coalizione di centro-destra si è spaccata sulle politiche di austerità. In particolare, il Partito della Libertà, il PVV, ha votato contro la proposta del governo di votare per un taglio alle pensioni. PVV ha affermato che non s’inchinerà ai diktat di Bruxelles e non permetterà che i pensionati olandesi soffrano per i burocrati europei.

Emerge ovunque, quindi, un sentimento di forte malessere contro l’Europa, che agli inizi di maggio dovrebbe sfociare anche con il voto anticipato in Grecia, dove si ipotizza uno scenario ingovernabile, con tanti piccoli partiti ad entrare in Parlamento.

Ma la situazione in borsa poteva andare peggio, se non fossero stati pubblicati i dati cinesi sulla produzione nel manifatturiero. L’indice Pmi ad aprile è salito a 49,1 punti, contro i 48,3 punti di marzo. Si tratta in sé di un dato pur sempre negativo, visto che sotto i 50 punti ci si riferisce a una fase di contrazione, mentre l’espansione si ha solo sopra i 50 punti.

Tuttavia, gli economisti vi vedono nella risalita un iniziale successo delle politiche messe in campo da Pechino, che potrebbero così evitare che l’economia cinese cresca quest’anno a ritmi molto più bassi del 2011.

Male, invece, il dato francese, dove l’indice ad aprile è sceso a 46,8 da 48,7 di marzo. Si tratta del tonfo più marcato degli ultimi sei mesi, a conferma delle difficoltà delle grandi economie europee in questo primo scorcio dell’anno.

Sul fronte dei conti pubblici, invece, i dati Eurostat pubblicati oggi evidenziano un trend positivo, per quanto ampiamente noti e scontati dagli operatori. I Paesi dell’Eurozona hanno chiuso il 2011 con un disavanzo medio in calo al 4,1% dal 6,2%, quelli UE sono passati dal 6,5% al 4,5%.

Peggiora, però, il rapporto tra debito e pil, che passa dal precedente 85,3% all’87,2%, per l’Eurozona, mentre nella UE, il rapporto è cresciuto dall’80% all’82,5%.

Ovviamente, le cifre sono molto diverse da stato in stato. Sul fronte deficit, ad esempio, si va da un 1% della Germania, al 3,9% dell’Italia, al 5,2% francese. Il primato poco invidiabile per il debito spetta alla Grecia, che chiude il 2011 con un debito al 165,3% del pil, seguita dall’Italia con il 120,1%.

Siamo molto lontani dai parametri di Maastricht, che mirano a contenere il disavanzo al 3% e il debito pubblico al 60%. Ad oggi, quasi nessuno riuscirebbe a soddisfare entrambi i criteri, nemmeno la precisa ed austera Germania, che ha un debito intorno all’87% del suo pil.

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