Eni taglia prezzo benzina di 2,5 cent, greggio giù

Dopo tante brutte notizie per gli automobilisti italiani, arriva finalmente una novella di segno opposto, per quanto ancora insufficiente. La compagnia petrolifera Eni ha tagliato stamane il prezzo raccomandato per la benzina di 2,5 centesimi al litro, di 2 centesimi sul Gpl e di un centesimo sulla diesel. Seguono a ruota Shell, che ha deciso di tagliare il prezzo consigliato di un centesimo sulla benzina e di 1,5 centesimi sulla diesel, TotalErg che ha abbassato di 0,8 centesimi sulla benzina, IP di 1,5 centesimi sempre sulla verde, Q8 di 1,2 e Tamoil di 0,5 centesimi. Per effetto dei tagli di oggi, il prezzo medio rilevato al distributore in Italia scende a 1,887 euro al litro per la verde, a 1,772 euro al litro per la diesel e a 0,875 euro per il Gpl.

Scendono anche i prezzi delle compagnie no-logo, che passano rispettivamente a 1,758 euro al litro, a 1,63 e a 0824 euro, mostrando una tendenza ad ampliare la forbice, rispetto alle altre compagnie.

Ma il calo di oggi alla pompa non è frutto di una decisione magnanima dei petrolieri, quanto della tendenza dei prezzi del greggio a scendere nelle ultime sedute. Come sempre accade in questi casi, le compagnie attendono che il trend sui mercati si consolidi, prima di intervenire, cosa che è avvenuta. Infatti, stamane i future sul Wti, il greggio americano, è sceso a 97,83 dollari al barile, arrivando fino a un minimo sotto ai 96 dollari e perdendo dieci dollari nelle ultime tre sedute, se si pensa che nella prima seduta di maggio quotava ancora quasi 106 dollari. Stesso discorso per il Brent europeo, sceso stamattina dai 113,18 dollari al barile di venerdì a 112,5 dollari, quando ancora l’1 maggio si attestava sui 119 dollari.

E quello che sta accadendo sui mercati del greggio è a sua volta il risultato di varie determinanti. La prima consiste nella contrazione generalizzata dei consumi nel Vecchio Continente, per effetto della crisi che comprime i consumi diretti delle famiglie, ma anche la stessa produzione, spingendo a una minore domanda. Si pensi solo al dato di marzo in Italia, dove i consumi di carburanti sono scesi del 10,7% su base annua, a quota 5,4 milioni di tonnellate.

Ma un risultato importante all’abbattimento di domanda di greggio è dato dalla minore dipendenza degli USA, i quali hanno aumentato in modo imponente la produzione di shale oil e shale gas, ossia di petrolio ricavato da rocce porifere con basso contenuto di zolfo, che sta creando un minore fabbisogno di greggio importato dall’Africa del Nord, in particolare, di quello algerino e tunisino.

Terzo fattore è poi rappresentato dalla politica di stabilizzazione dell’offerta da parte dell’Arabia Saudita. Riad ha promesso e mantenuto l’impegno di compensare il venir meno del greggio prodotto dall’Iran, a seguito delle ritorsioni commerciali di Teheran, che ha risposto all’imposizione delle sanzioni UE ed USA, decise a partire dal primo luglio, con il blocco delle esportazioni verso diversi stati europei, in primis, Spagna e Germania.

Tuttavia, contrariamente alle attese del governo iraniano, in Europa non si è avvertito il calo dell’offerta di petrolio persiano, grazie, soprattutto, agli arabi sauditi e si è arrivati al paradosso che le minacce di Teheran le si stanno ritorcendo contro, con l’Iran alla ricerca di acquirenti, che possano sostituire l’Europa nella domanda. Pare che davanti alle sue coste vi siano almeno 12 petroliere Vlcc, con 2 milioni di barili ciascuna, oltre a 8 Suezmax con un milione di barili cadauno e l’accumulo di greggio in essi si è reso necessario per evitare di rallentare l’estrazione e, quindi, di avere ripercussioni dirette sui livelli produttivi e l’occupazione.

Ma è ovvio che questa situazione non potrà durare a lungo e perciò i mercati stanno reagendo con una minore richiesta di futures, ossia di acquisti di greggio futuro, determinandone un calo delle quotazioni.

La notizia è alquanto positiva, sebbene ancora di ridotte dimensioni. Si calcola, infatti, che il calo di ogni 10 dollari del prezzo del greggio determini un incremento del nostro pil dello 0,5%, anche se va aggiunto che la buona notizia va contemperata anche dal calo delle quotazioni dell’euro sul dollaro, che si starebbe consolidando nelle ultime sedute e che potrebbe avere un trend più marcato nei prossimo giorni, a causa del terremoto politico e finanziario delle elezioni in Francia e Grecia.

Infatti, essendo il greggio acquistato in dollari, un calo dell’euro determina una crescita automatica del costo per noi acquirenti europei e, quindi, anche in presenza di un calo delle quotazioni del petrolio, si rischia o di non beneficiarne in tutto o in parte o, addirittura, di vedere ancora salire il prezzo alla pompa.

Nel complesso, ad ogni modo, dovremmo assistere nel prossimo trimestre a una stabilizzazione delle quotazioni, nel caso peggiore, o persino alla discesa sotto ai 100 dollari al barile per il Brent, anche se gli analisti prevedono che l‘Opec potrebbe essere pronta già in estate a tagliare la produzione, per evitare di scendere sotto tale soglia.

Per ora, accontentiamoci di questo timido segnale di inversione di tendenza!

 

 

 

 

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