Francia, Hollande è presidente. Sarkozy va a casa e perde il sorriso

François Hollande è il nuovo presidente della repubblica francese. Lo ha decretato il ballottaggio di ieri, che ha assegnato al candidato socialista il 51,9% contro il 48,1% di Nicolas Sarkozy, presidente uscente. Il dato è perfettamente in linea con le previsioni, per le quali Sarkozy ha rimontato tra un turno e l’altro, ma non a sufficienza per “strappare” con le unghia la vittoria al rivale. E così, dopo soli 5 anni, Monsieur Sarkò dovrà fare le valigie e andare via dall’Eliseo. Era accaduto prima solo a Valery-Giscard d’Estaing, che nel 1981, dopo un apparentemente brillante settennato, è stato trafitto clamorosamente dal socialista François Mitterand.

E oggi come allora, è un socialista a spegnere i sogni di rielezione di un presidente in carica. Quel che più importa alla gauche francese è che per la seconda volta, i socialisti vanno all’Eliseo, impresa che era stata possibile solo, appunto, per Mitterand. E dopo ben 17 anni.

Le indiscrezioni sulla vittoria di Hollande erano iniziate a circolare ieri sera già alle ore 18, quando si era finito di votare in tutti i piccoli centri. Il socialista veniva dato intorno al 52-52% dei consensi. Ma le grandi città hanno votato fino alle 20, per cui gli exit-poll non potevano essere ancora divulgati. Alle ore 20 in punto, i TG nazionali danno il primo exit poll: Hollande, 51,8%; Sarkozy, 48,2%. La folla radunata al quartier generale di Hollande esplode in festa, mentre negli stessi attimi arriva l’ordine del presidente in carica di sospendere i festeggiamenti per la sua vittoria, in attesa che giunga il miracolo. Ma passano i minuti e i risultati del primo exit-poll restano esattamente uguali, confermando la sensazione forte in giro che ha vinto Hollande e senza più alcun dubbio.

Sarkozy, quando i dati sembrano ormai indicargli una sconfitta evidente, esce allo scoperto. Si presenta dinnanzi ai suoi elettori radunati alla sala della Mutualité, cercando di arrestare i fischi all’indirizzo del vincitore. Sarkozy riconosce la sconfitta e dichiara che si è trattata di una vittoria repubblicana, assumendosi per intero la responsabilità della debacle.

“Sarò un francese tra i francesi”, aggiunge, paventando così la seria possibilità che lasci la politica e la vita pubblica, come già aveva annunciato la consorte Carla Bruni qualche mese fa, quando i sondaggi iniziavano a suonare per lui lo squillo di tromba.

L’aria è mesta tra i suoi elettori, abituati ad avere un “loro” presidente consecutivamente dal 1995, prima con i due mandati del padre del neo-gollismo, Jacques Chirac, poi, proprio con Sarkò.

La sconfitta brucia e apre adesso dentro all’Ump la questione della successione. Il più accreditato sembrerebbe il ministro degli esteri ed ex premier Alain Juppé. Già ad ottobre, quando le primarie avevano sancito la vittoria di Hollande tra i socialisti, i sondaggi assegnavano a Juppé una maggiore probabilità di vittoria contro il rivale, visto che la base della destra lo preferiva nettamente al presidente uscente.

Ma quali sono state le ragioni della sconfitta di Sarkozy? Tante e non difficili da individuare. La sua aria tronfia, la moglie italiana dall’aria pseudo-chic e molto snob, la sua sottomissione a Berlino e l’incapacità di dare all’economia una sterzata nella direzione promessa cinque anni fa, ossia verso meno tasse e più libertà economica.

Sarkozy non ha avuto una visione dell’Europa e così l’ha presa in prestito dal cancelliere Angela Merkel, ma più per calcolo che per convinzione.

Torna in mente la risatina umiliante che l’ex presidente riservò ad ottobre al nostro ex premier Berlusconi e all’Italia intera. Una smorfia che tradì il sentimento di superiorità con cui Sarkozy si approcciava agli altri, fuorché alla Merkel. Un sentimento che è tanto francese, ma ostentatamente sarkozyano.

Ha dichiarato guerra alla Libia, ricorrendo a ragioni umanitarie molto dubbie e i francesi lo capirono subito, addossandogli già alle amministrative di un anno fa la responsabilità di avere spinto la Francia a guidare un intervento militare, senza che si fosse prima risolto il problema ben più impellente della crisi finanziaria ed economica.

Ha addossato sempre sugli altri la responsabilità della gestione dei suoi guai, come quando si sbarazzò del problema degli immigrati, affermando che se ne dovesse occupare solo l’Italia.

Non ultimo, ha cercato di giocare la carta del discredito contro gli avversari interni, mentre aleggia l’ombra terribile che lo scandalo che un anno fa travolse l’allora direttore generale del Fondo Monetario Internazionale, Dominique Strauss-Kahn, fosse orchestrato proprio dall’Eliseo.

E’ stato un pessimo leader in patria, ma soprattutto in Europa, dove ha mostrato una vista (non visione!) miope, mirata solo a conservare lo status quo, anziché pensare a come rifondare l’Unione, cosa che pure aveva promesso nella sua cavalcata trionfale dal 2005 al 2007.

Non è un caso che molti elettori del suo partito si siano rifugiati nel Fronte Nazionale, non mostrando alcuna intenzione di fare “fronte” comune al ballottaggio contro il candidato socialista. Non è stato, infatti, avvertito nemmeno come un difensore dei valori tradizionali della destra. Per tutto questo è stato punito, per tutto questo è stato bene che andasse a finire così.

 

 

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