JP Morgan annuncia perdite shock su derivati, borse giù

Un’altra batosta sul fronte delle notizie finanziarie. Quando ancora i listini delle borse e i titoli di stato europei semi-periferici sono sotto attacco speculativo, per via del caos politico in Grecia, ci pensa l’America ad assestare un altro brutto colpo alla già fragile situazione delle borse. Ieri sera, dopo la chiusura delle contrattazioni a Wall Street, il ceo di JP Morgan Chase, Jamie Dimon, ha inviato una documentazione alla Securities and Exchange Commission, la Consob americana, in cui si comunica che la sua banca ha subito perdite su titoli derivati per 2-2,3 miliardi di dollari nelle ultime sei settimane.

Un vero shock per i mercati, trattandosi della seconda banca americana per patrimonializzazione e avendo potuto vantare sino ad oggi di essere un istituto commerciale, che durante questa crisi finanziaria dal 2008 ad oggi non ha mai subito perdite.

Invece, è lo stesso Dimon a chiarire che una strategia sbagliata e “stupida” di valutazione del rischio, nonché una politica fallimentare di gestione del rischio, hanno determinato una situazione contabile molto negativa, che si esprime in perdite per almeno 2 miliardi, ma che potrebbero salire ulteriormente di un altro miliardo. La situazione negativa sui bilanci, ha aggiunto un imbarazzatissimo Dimon, dovrebbe sentirsi per almeno 1-2 trimestri. Il manager ha ammesso che tali perdite sarebbero state frutto di un calcolo errato e incompleto del rischio, aggravato da una supervisione sciatta e manchevole. In sostanza, la banca avrebbe investito in titoli derivati per complessivi 100 miliardi di dollari, monitorando il rischio attraverso un algoritmo che comprendeva 125 aziende. Tuttavia, la banca avrebbe effettuato una valutazione sbagliata sull’andamento dei credit default swaps, vendendoli nella previsione che il rischio sarebbe diminuito. Invece, essendosi alzato, i titoli assicurativi sono diventati più onerosi e JP Morgan ha dovuto subire l’impennata dei costi relativi.

Un brutto colpo non solo per la banca, ma anche per la stessa reputazione di Jamie Dimon, che veniva anche considerato un “London Whale”, una balena di Londra, per la spregiudicatezza con cui effettuava i suoi investimenti, anche se fino a ieri veniva guardato negli ambienti finanziari come un guru nascente di Wall Street.

Secondo il quotidiano finanziario Wall Street Journal, tra i trader coinvolti nelle operazioni errate vi sarebbe anche un certo Bruno Michel Iksil, che se ai più non dirà nulla, si pensi che egli gode di compensi di centinaia di milioni di dollari all’anno.

E all’imbarazzo si aggiunge nuovo imbarazzo, perché è lo stesso Dimon a comunicare che gli investimenti sono stati effettuati dalla Chief Investment Office, un’unità apposita di JP Morgan, che ha lo scopo di attuare la politica di “hedging” della banca, ossia di tutelarla dal rischio. E sempre Dimon ammette che nel caso in cui fosse già in vigore la cosiddetta “Volcker Rule” negli USA, essa non si sarebbe potuta applicare alla situazione esposta. La norma, che entrerà in vigore in futuro, mira a vietare per i colossi bancari operazioni di trading rischiose per conto proprio. Ma il fatto che banche come JP Morgan utilizzino uffici esterni per effettuare operazioni per il loro conto aggirerebbe la norma, tanto che già Washington discute su come raggiungere effettivamente l’obiettivo prefissato.

Adesso, a fare ancora una volta le spese per queste operazioni azzardate e rivelatesi sbagliate saranno i titoli di stato di alcuni Paesi dell’Eurozona. Ad esempio, Goldman Sachs aveva annunciato recentemente di avere più che raddoppiato i suoi acquisti di bond italiani a 8,2 miliardi di dollari, nel primo trimestre.

Anche Citigroup ha comunicato la scorsa settimana di avere incrementato le sue esposizioni verso i bond Piigs (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna) da 7,7 miliardi di fine 2011 a 9,1 miliardi.

In pratica, ora le stesse banche potrebbero essere indotte a disfarsi dei titoli a rischio in portafoglio, per eliminare alla radice la possibilità che possano essere avanzati dubbi sulla loro condizioni patrimoniale. Questo potrebbe scatenare una nuova ondata di vendite, che si aggiungerebbe alla già pesante situazione di titoli come BTp e Bonos, che mostrano un allargamento del divario dei rendimenti, rispetto ai benchmark tedeschi.

Certo, da un punto di vista contabile, JP Morgan non ha problemi nella copertura delle pur pesanti perdite, se si pensa che ha chiuso la prima trimestrale del 2012 con un utile di 5,4 miliardi di dollari e ricavi per 26,71 miliardi. Si tratta, quindi, più di un contraccolpo psicologico, del fatto cioè che i mercati temono che si torni a una situazione simile a quella del 2008-2009, ma senza che stavolta si salvi qualcuno.

Per questo, dopo una giornata chiusasi ieri per il titolo in leggero rialzo dello 0,25%, nell’after-hours lo stesso è crollato del 6,6% a 38,07 dollari per azione. E lo stesso spread stamane si è allargato in Italia, mentre gli indici delle borse hanno aperto negativi, Piazza Affari compresa. Il Vecchio Continente è stretto ad est dalla crisi di Atene in fiamme e da brusche notizie d’Oltreoceano, che non lasciano spazio a una ripresa stabile dei suoi corsi.

 

 

 

 

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