Grecia, lascia anche Venezilos. Voto più vicino

Anche il segretario del Pasok, il partito socialista greco, Evangelos Venezilos, ha gettato la spugna e questa mattina rimetterà il mandato nelle mani del capo dello stato, Carolos Papoulias. E’ il terzo in soli cinque giorni a rinunciare alla formazione di un governo. Ieri, fino al tardo pomeriggio, si era diffuso un cauto ottimismo, dopo che era arrivata l’apertura inattesa del leader di Dimar, Sinistra Democratica, Foutis Kouvelis, il quale si era detto pronto ad accettare di sostenere un governo con Nuova Democrazia e Pasok, purché ne facesse parte anche la sinistra radicale di Syriza. E, infatti, Venezilos aveva trovato un’intesa anche con i conservatori, facendo sperare i mercati e Bruxelles in un esecutivo di unità nazionale.

Invece, in serata arriva la doccia fredda. Il segretario di Syriza, Alexis Tsipras, ha annunciato che non sosterrà il governo di Venezilos. Di conseguenza, nemmeno Dimar ne farà parte e restano in campo così solo Pasok e Nuova Democrazia, che insieme hanno ottenuto 149 seggi su 300, 2 in meno della maggioranza assoluta necessaria.

Per questo, oggi il leader socialista si presenterà dinnanzi al presidente Papoulias e rimetterà il mandato. Il capo dello stato, a questo punto, cercherà un ultimo tentativo: riunirà tutti i leader di partito presenti in Parlamento e li convincerà a sostenere un governo di unità nazionale, che magari duri fino alla primavera del 2014, quando si terranno anche le elezioni europee. Ma è quasi scontato che anche tale tentativo fallirà sin da subito, non essendoci alcuna maggioranza in favore del Memorandum. A quel punto, magari già domani o lunedì, Papoulias potrebbe sciogliere il Parlamento e fare tornare la Grecia al voto a giugno, a un mese dalle precedenti elezioni di domenica scorsa.

Il leader di Syriza, Tsipras, ha affermato di non essere lui ad avere ostacolato un esecutivo di larghe intese, bensì il popolo greco, che si è espresso chiaramente contro le politiche di austerità. In realtà, Tsipras è ben consapevole che ha tutto il vantaggio a tornare alle urne, visto che i sondaggi danno la sua Syriza al primo posto, con oltre il 23% dei consensi, mentre i conservatori di Nuova Democrazia scenderebbero al 17% circa e i socialisti scivolerebbero al 10%. E non esiste alcun partito minore, che oggi rischia di compromettersi al governo. L’esempio è Laos, il partito della destra radicale, ma non certo assimilabile all’estremismo di Alba Dorata, che pur godendo di buoni consensi fino a pochi mesi fa, ha pagato alle urne il fatto di avere sostenuto per quattro mesi il governo tecnico di Lucas Papademos, non riuscendo domenica a riconfermare la propria presenza in Parlamento.

Gli stessi socialisti e conservatori, i soli favorevoli al Memorandum, qualora si materializzasse nelle prossime ore la prospettiva di un addio all’euro, non avrebbero più alcuna convenienza politica a sostenere gli impegni pro-UE e potrebbero modificare in corsa le loro opinioni in campagna elettorale, visto che i sondaggi danno complessivamente queste due formazioni in calo di ben 5 punti percentuali dal risultato di soli cinque giorni fa.

In sostanza, il voto dovrebbe premiare ancora di più le formazioni anti-UE e questo determinerebbe una certa fuoriuscita della Grecia dall’Eurozona, come già tutti confermano senza mezzi termini a Bruxelles e presso le sedi delle agenzie di rating.

La più dura è stata la Germania, stavolta sostenuta inaspettatamente anche dal presidente della Commissione Europea, José-Manuel Barroso, il quale ha affermato che o la Grecia rispetta i patti o esca dall’euro. Parole molto dure, minacciose, ma che sono più il frutto di una impotenza evidente delle istituzioni europee. Due giorni fa era stato il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, a minacciare tra le righe la Grecia, sostenendo che l’Eurozona potrebbe benissimo sopravvivere anche senza di essa.

Il percorso sembra ormai segnato: la Grecia tornerà al voto tra un mese. Vinceranno con ancora più ampio margine le formazioni anti-UE. Si pensi, ad esempio, che esse sono già oggi maggioranza in Parlamento, pur avendo ottenuto Nuova Democrazia il premio di maggioranza di 50 deputati. Ma se Syriza diventasse primo partito, tale premio andrebbe ad essa, portando la maggioranza contraria al Memorandum a circa i due terzi dei seggi in Parlamento. Una volta che Bruxelles prenderà atto per l’ennesima volta della volontà dei greci di non attuare le politiche di austerità richieste, si darà vita a una contrattazione tra le parti sulle modalità con cui la Grecia dovrà abbandonare l’Eurozona.

Il problema serio è dato dai costi dell’operazione. Anzitutto, potrebbe scatenarsi una furia speculativa sui titoli di stato italiani, spagnoli e portoghesi, mentre allo stesso tempo la Grecia dovrebbe essere costretta a dichiarare default, per via della svalutazione della sua dracma, che renderebbe impossibile il pagamento del debito in euro.

Lo scenario che ci attende è apocalittico, ma ormai non ci sono alternative all’orizzonte. Semmai, bisogna chiedersi se tra pochi mesi non saremo anche noi costretti a seguire Atene e la risposta non è scontata, come sembrava fino a poco tempo fa.

 

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