Alemanno e mezzo PDL vogliono “far fuori” Berlusconi

E’ ancora fresca la proposta dell’ex premier Silvio Berlusconi di aprire una stagione costituente, che porti a una repubblica semi-presidenziale alla francese, in grado di garantire il rafforzamento e lo svecchiamento delle istituzioni, per dare risposte veloci e concrete ai cittadini. Era stata avanzata sul finire della scorsa settimana all’aula del Senato, insieme al segretario del PDL, Angelino Alfano, ma la risposta dei leader della strampalata maggioranza che sostiene Monti non l’hanno presa bene, con Casini e Bersani a dare al Cavaliere un due di picche. Il PDL è teoricamente tutto favorevole sul merito della proposta, ma ci sono forti distinguo sul metodo.

E a dare voce agli insofferenti del partito è stato ieri il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, il quale ha affermato che la proposta di Berlusconi non è credibile, perché ha dato la sensazione che fosse un tentativo di candidarsi al Quirinale e ha messo nell’angolo il segretario Alfano.

Secondo Alemanno, il Cavaliere avrebbe dovuto fare un passo indietro e lasciare spazio solo ad Alfano, consentendo solo a lui di fare appello alla stagione costituente, mentre allo stesso tempo, egli avrebbe anche dovuto annunciare di non correre per il Quirinale. Una presa di posizione molto dura, che svela la tentazione di molti autorevoli esponenti del PDL di sbarazzarsi di quella che viene ormai avvertita da loro come una figura ingombrante. E le indiscrezioni vorrebbero che ad esprimersi con toni molto simili siano non solo personalità ex An, bensì anche ex forzisti, che ritengono che la presenza di Berlusconi impedisca il raggiungimento di un accordo con le altre anime del centro-destra, a partire da Casini e Montezemolo. Il primo ha chiesto esplicitamente che prima di sedersi al tavolo delle trattative con il PDL, Berlusconi debba annunciare formalmente il suo ritiro dalla vita politica, addirittura, rinunciando anche a correre per un seggio in Parlamento.

Molti nel partito vorrebbero, quindi, che Berlusconi si facesse da parte, creandosi una fondazione, in modo da trasformarsi in un semplice padre nobile del centro-destra.

I sondaggi vorrebbero che Berlusconi possa ottenere un 15% di consensi con un suo partito, nota un ex azzurro, ma questa non può essere la prospettiva di un partito che mira a costruire la casa di tutti i moderati del nuovo centro-destra, aggiunge.

In soldoni, metà PDL vorrebbe che Berlusconi se ne andasse ora e senza tentennamenti. Qualcuno, come il sindaco capitolino, lo ha chiarito pubblicamente, molti altri lo fanno sotto voce. Questione di prospettiva, dunque. I dirigenti del partito ritengono che solo “allontanando” il Cavaliere dalla vita pubblica riuscirebbero a costruire qualcosa con il resto del centro-destra, potendo anche pensare a mettere su una classe dirigente, passando per il rafforzamento di Alfano.

Quest’ultimo, paradossalmente, è sostenuto strenuamente proprio dagli ex An, che lo vedono quale unica personalità in grado di tenere salda l’unità del partito e nella sua attuale formulazione, ossia con una presenza forte del nucleo di destra.

Dal canto suo, l’ex premier non smetterebbe di leggere i sondaggi e sarebbe molto preoccupato per il crollo continuo dei consensi, che rischia di portare il PDL dal primo al terzo partito italiano, superato pure da Beppe Grillo.

In fondo, il suo intervento lo scorso venerdì al Senato, per formulare la sua proposta sul modello francese, non era altro che il tentativo di rilanciare il partito, dandogli una prospettiva a breve e cercando anche di rilanciarne l’iniziativa tra l’opinione pubblica e in Parlamento, tra le forze politiche.

Non pare che tale obiettivo sia stato raggiunto, complice anche un oscurantismo mediatico notevole, che hanno derubricato tale proposta a un fatto di cronaca politica ordinaria, quando si trattava, al contrario, di una potenziale svolta per questa fase politica di stallo assoluto.

E allora? Come rimediare alla crisi travolgente dei consensi per il PDL? Le faide continue non aiutano, anche perché non sono nemmeno frutto di diverse opzioni politiche, ma semplici contrapposizioni personali di galli sul territorio e in Parlamento. Alfano non sembra in grado di dare un’amalgama sufficiente al partito, anche perché la stessa struttura del PDL è confusa nella sua inesistenza.

La stagione dei congressi, già finita, è sembrata l’esaltazione dei vecchi equilibri interni, più che l’approdo verso un nuovo modello gestionale sul territorio. La figura di Berlusconi, per quanto ingombrante, rappresenta l’unico punto di riferimento condiviso da tutti, in grado di sintetizzare le diverse sensibilità esistenti dentro al PDL. Ma è evidente che alcuni stanno già giocando di sponda con Casini e non vogliono più averci a che fare, mentre altri lo ritengono forse convintamente una iattura per le loro chance di rielezione.

Quale che sia la propria visione, pare che il PDL abbia perso da mesi la sua spinta propulsiva e sia destinato all’esaurimento in tempi brevissimi. Tuttavia, il guaio è che non s’intravede alcun progetto alternativo, se non lo stanco ritorno allo spezzettamento del passato. Una scossa potrebbe derivare solo dalla creazione di un nuovo centro-destra radicato sul territorio e dalla guida “pesante”, come potrebbe essere sotto Montezemolo o un Casini.

 

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