Decreto Ilva-Terra dei Fuochi, oggi discussione alla Camera

Giornata cruciale oggi per l’approvazione del decreto n.136 sull’Ilva, la cui discussione, già prevista per ieri, era stata rinviata.
Secondo Confindustria Taranto, se il decreto venisse approvato sarebbe “una svolta epocale“, per le implicazioni di varia natura che si snodano dal caso Ilva, a cui sono legati i destini sociali, economici, sanitari e ambientali, non solo della città pugliese, ma anche dell’Italia, dato che l’Ilva continua ad essere un nodo cruciale della produzione industriale nazionale.

Diversi dicasteri e molteplici attenzioni sono puntate sulle decisioni di oggi, poiché nel frattempo, anche a Genova, la situazione dell’Ilva rischia di diventare esplosiva. “La direzione ha comunicato alla Rsu l’impossibilità di rispettare quanto previsto dall’accordo di programma in merito alla totale garanzia occupazionale del sito produttivo di Genova“, hanno denunciano ieri i sindacati dello stabilimento Ilva di Cornigliano, spiegando di avere avuto questa indicazione durante un incontro in Confindustria, convocato per discutere dell’integrativo salariale.

Intanto, se il decreto fosse approvato in Parlamento, l’Ilva dovrebbe accollarsi il costo di tutte le analisi e i campionamenti che saranno effettuati all’interno del siderurgico di Taranto, al fine del controllo dei livelli di inquinamento.
Se finora i controlli relativi a terreni e camini erano in parte a carico dell’Ilva e in parte a carico dell’Arpa Puglia, con l’approvazione del decreto si potrebbe arrivare ad un nuovo equilibrio.

Alessandro Bratti del Pd, relatore del decreto, ha precisato che gli emendamenti sono scaturiti dal lavoro fatto dal comitato ristretto formato da nove deputati in rappresentanza delle diverse forze politiche: si tratterebbe di circa 240 proposte.
Al decreto, che riguarda non solo la situazione ambientale di Taranto, ma anche quella della Terra dei Fuochi in Campania, è stata aggiunta anche un’altra puntualizzazione: gli screening disposti per la popolazione residente nelle due aree cui il provvedimento si rivolge dovranno riguardare anche la prevenzione e non solo i casi di malattia già conclamati.

Sarà l’Istituto superiore di sanità a coordinare gli screening e resta confermata anche la dote finanziaria di 50 milioni complessivi tra 2014 e 2015 per entrambe le aree. “Ma una divisione delle risorse non è stata fatta” e dunque ora si rischia di non avere i soldi necessari per assicurare la presenza dell’esercito in Campania anche nel 2015.

Per gli articoli riguardanti l’Ilva, particolare attenzione è rivolta, nelle proposte di emendamento, alle modalità con cui il risanamento e la bonifica dovranno avvenire, specie in relazione alle condizioni di suolo e sottosuolo. Il rischio maggiore che sembra si voglia tentare di evitare, è quello di inquinare in maniera irreversibile con gli scavi anche la falda.

Nel decreto viene anche confermata la parte relativa all’aumento di capitale dell’Ilva a carico della proprietà Riva, con l’obbligo di finalizzarla al risanamento dello stabilimento. Per fare questo il commissario dell’Ilva, Enrico Bondi, dovrebbe avere il potere di aumentare il capitale della società avanzando ai Riva la relativa proposta e in caso di rifiuto da parte di questi ultimi, potrà rivolgersi a investitori terzi o chiedere all’autorità giudiziaria lo svincolo delle somme sequestrate, sempre ai Riva, anche per reati diversi da quelli di natura ambientale. Il riferimento è in pratica agli 1,9 miliardi di euro bloccati dalla Procura di Milano per reati fiscali e valutari.

Per i tempi, se il decreto dovesse essere approvato, bisognerà aspettare i trenta giorni per la definizione di un protocollo tecnico operativo condiviso dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare con Arpa Puglia, previo parere di Ispra; quindi ulteriori trenta giorni per la verifica della compatibilità con i successivi interventi di messa in sicurezza e bonifica che seguiranno ai campionamenti e ai controlli.

Ma mentre in parlamento si decide sul decreto, nuove sentenze riaprono uno squarcio sulla gravità della situazione sanitaria per operai e residenti.
La corte d’Appello di Lecce ha infatti riconosciuto un’invalidità del 30 per cento ad un lavoratore di Brindisi, addetto ai forni a pozzo dell’Ilva. In pratica si tratta del riconoscimento attraverso una sentenza, che anche la diossina, esattamente come l’amianto, può provocare tumori. I giudici hanno praticamente ribaltato la sentenza di primo grado che aveva invece escluso la correlazione diossina-cancro.
Solo una decina di giorni fa due operai di 57 e 69 anni erano morti per mesotelioma. I due lavoratori, che tra il 1970 e la metà degli anni ’90 avevano lavorato come manutentori elettricisti ed addetti alla colata continua dell’Acciaieria dell’Ilva di Taranto, avevano ottenuto il risarcimento per l’esposizione all’amianto.
Ora però la sentenza del Tribunale di Lecce fa un ulteriore passo nella definizione delle responsabilità, attribuendo una concausa nell’insorgenza di tumori anche alla diossina, e ponendo le basi per un precedente che difficilmente potrà essere ignorato.

Anche un’altra sentenza apre sempre di più alla possibilità di un’azione collettiva da parte dei cittadini di Taranto, in particolare per quelli residenti nelle zone più colpite dall’inquinamento e dalle polveri sottili dell’Ilva, come il quartiere Tamburi.
Pochi giorni fa, infatti, il giudice ha dato ragione ad un cittadino che aveva fatto causa all’Ilva, al patron Emilio Riva e all’ex direttore dello stabilimento, Luigi Capogrosso, per il deprezzamento della sua casa. La riduzione di valore dell’immobile, secondo il cittadino, era causata proprio dall’inquinamento prodotto dal siderurgico. Ilva, Riva e Capogrosso sono stati effettivamente condannati ad un risarcimento di 13.880 euro. E così ora potrebbero profilarsi decine di situazioni analoghe, dato che già altri 140 cittadini hanno intentato causa con la stessa motivazione.

Già nel 2012 il Codacons aveva promosso un’azione risarcitoria dinanzi al Tar del Lazio, invitando tutti i residenti e coloro che vivono o lavorano abitualmente a Taranto, a partecipare all’azione collettiva contro le amministrazioni pubbliche, che per anni hanno taciuto gli enormi danni provocati dalle emissioni nocive provenienti dallo stabilimento dell’Ilva, senza adottare i dovuti provvedimenti per salvaguardare la salute dei cittadini e l’ambiente.

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