Quando emigrare diventa un’ossessione

Disclaimer: chi scrive l’articolo ha vissuto in Australia e Canada e apparteneva proprio alla categoria di italiani di cui si parla. Grazie a queste esperienze ho potuto rivalutare l’Italia e l’idea di “estero”.

Emigrare all’estero è un’attività che è tornata prepotentemente di moda negli ultimi anni. Un fenomeno tangibile, basti pensare ai centinaia di siti e forum dedicati, ai gruppi su Facebook ma anche solo alle frasi che sentiamo sempre più spesso: “tra sei mesi vado in Australia”, “mi trasferisco a Londra” e così via. Che quello italiano sia un popolo di emigranti è una cosa ben nota ma è importante fare delle distinzioni nette tra quello che un tempo era reale necessità e quella che adesso è, invece, una vera e propria ossessione.

Infatti, se è vero che un tempo scappare dall’Italia rappresentava una vera e propria fuga da una situazione disastrosa, realmente invivibile, è altrettanto vero che oggi non è così. Certamente il nostro Paese non è il miglior posto sulla Terra, ma sicuramente non è quello da cui scappavano i nostri connazionali cent’anni fa. Eppure a sentire gli “aspiranti emigranti” sembra di vivere in un paese sottosviluppato: c’è crisi, delinquenza, inquinamento, corruzione; non c’è speranza per i giovani, non c’è rispetto della dignità delle persone.

Allo stesso modo, è cambiata anche la concezione di “estero”: prima era semplicemente un luogo migliore, oggi è diventato un vero e proprio Eldorado. Nell’immaginario comune, ormai, emigrare rappresenta il rimedio a tutti i mali, l’obiettivo unico per raggiungere felicità e benessere. All’estero si vive meglio, gli stipendi sono più alti e si lavora di meno, c’è più verde e meno delinquenza. C’è addirittura chi dice che all’estero si mangia meglio. L’estero è diventato un’unica realtà, con connotati tutti uguali, non importa se parliamo di Canada, Stati Uniti, Messico, Australia e via dicendo: là è meglio che qua. Non importa dove, purchè sia fuori dall’Italia. È come Paradise City dei Guns N’ Roses: where the grass is green and the girls are pretty. Dove l’erba è verde e le ragazze sono carine.

Scappiamo via, allora. Valigie pronte, un post di addio su Facebook, foto su Instagram con il biglietto in mano e si parte. Non importa dove, non importano le nostre capacità lavorative, il nostro curriculum, la nostra età o se si conosce la lingua e soprattutto la cultura del luogo dove si atterrerà. È all’estero? Allora è ok.

Ed è proprio questa mentalità a plasmare i due tipi di immigrato italiano: quello classico e quello moderno.

L’immigrato classico è uno stereotipo vivente: parla solo italiano, mangia solo italiano, vive con italiani, lavora con italiani. Non conosce la lingua del posto, non conosce la cultura ma non importa, tanto ha uno zio con una pizzeria che lo assumerà come cameriere. Soprattutto non capisce la gente del luogo, la critica, la deride e cerca di trasformare l’ambiente che lo circonda in una piccola Italia. Cerca di portare casa sua all’estero. Se avrà successo creerà una comunità di italiani all’estero. Integrazione, questa sconosciuta. Se non ce la farà tornerà nel Bel Paese dicendo che all’estero gli italiani sono trattati male ed è impossibile viverci.

La seconda categoria è di recente nascita e ha sicuramente una connotazione meno negativa rispetto alla prima. L’immigrato moderno è una persona specializzata in un lavoro manuale (ad esempio: falegname e pizzaiolo) oppure un laureato o plurilaureato. È figlio della crisi economica, infatti lascia l’Italia lamentandosi degli stipendi bassi, della mancanza di una prospettiva futura, dell’impossibilità di un contratto a tempo indeterminato. È volenteroso, pronto a dare una vera svolta alla sua vita. Conosce discretamente la lingua, si è informato sulla cultura del luogo e ha scelto con cura la destinazione. Tutto bene, finchè, una volta sbarcato all’estero, si accontenta di fare lavori che nulla hanno a che vedere con il suo background.

E provoca un misto di tenerezza e compassione vedere ragazze laureate in Giurisprudenza che portano il curriculum per un lavoro da commessa per nove dollari all’ora o pizzaioli con anni di esperienza e attestati che fanno i cassieri da Subway. È particolare pensare che si ritrovano a svolgere lavori che in Italia non avrebbero mai accettato. Non si stava proprio scappando dal luogo dove viene calpestata la nostra dignità?

Ma allora, forse, per ritrovarsi a vivere con soli italiani o per accettare lavori che all’estero fanno i sedicenni durante le vacanze estive, non era meglio concentrare gli sforzi e le energie nel provare a rendere l’Italia un posto migliore? L’umiltà che si acquisisce all’estero, quando si è lontani dalla cameretta in cui si è nati e cresciuti, dalla pasta al pomodoro di Mammà, dalle “bustine” della Nonna, dalla macchina regalata al diciottesimo compleanno e da tutte le altre comodità che spesso ci rendono viziati, non si può avere anche in Italia? Perchè nel nostro Paese si deve essere arroganti e choosy (sì, l’ho detto), mentre all’estero si diventa improvvisamente umili e si scende a compromessi con grande facilità?

È proprio in questo modo che emigrare diventa un’ossessione: si deve andare via a tutti i costi, in Italia non ci sono possibilità di alcun tipo, nessuna occasione di realizzarsi e sentirsi realizzati. Questo è palesemente sbagliato e causa danni ben maggiori di quelli che uno si aspetterebbe. All’estero siamo visti come dei disperati mentre l’Italia, il nostro Paese, rimane inevitabilmente nel baratro.

L’unico motivo valido per cui una persona deve emigrare è perchè si ritiene incompatibile con la cultura del luogo. Alla fine è tutta una questione di usi e costumi, di stile di vita. Se si va in Canada non ci si può lamentare continuamente del maltempo, se si va in Australia non si può rimanere sconcertati se alle nove e mezza di sera sono tutti a dormire. È la cultura diversa che ci deve attrarre verso l’estero, che ci deve spingere a mollare tutto e diventare realmente one of them, uno di loro.

Solo con queste premesse la fuga all’estero ha ancora un senso. Altrimenti ci rimane un bellissimo Paese da ricostruire a nostro piacimento.

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