Ricordando Marco Pantani: la nascita del mito

Se è vero che l’incendio più devastante ha inizio da una piccola scintilla, il fiume più impetuoso nasce da una piccola goccia di sorgente, il mito di Marco Pantani è nato da un lampo sfolgorante. Seme di una carriera che in dieci anni scriverà la storia del ciclismo e dello sport in generale.

Quel 5 giugno del 1994 il Giro d’Italia arriva all’Aprica. La maglia rosa è sulle spalle di uun promettente ciclista russo, Evgeni Berzin. La tappa è per cuori forti: prima dell’arrivo in Valtellina, infatti, il menù di giornata prevede l’ascesa al mitico Stelvio e la terribile arrampicata sul passo del Mortirolo. Oltre ai ciclisti solo gli stambecchi possono affrontare in serie queste salite.

Tra i partecipanti a quel Giro c’è un ragazzo di Cesenatico un po’ stempiato, grandi orecchie da elefantino, 54 chili di peso in un corpo così leggero che sembrava volare sopra la bicicletta. Quel ragazzo di 24 anni aveva già dimostrato di andare forte in salita, e solo il dovuto aiuto al suo capitano, “el diablo” Claudio Chiappucci gli aveva finora tarpato le tappe. Ma sin da quando era stato presentato quel Giro del 1994 questo giovane romagnolo aveva puntato forte sulla tappa dell’Aprica, sapeva che poteva essere la sua occasione per farsi conoscere al mondo. Tutti i più grandi quel giorno impararono bene il suo nome, gli appassionati di ciclismo se ne innamorarono subito: stava per nascere la stella di Marco Pantani.

Il 24enne romagnolo era in crescita, nelle tappe precedenti aveva dimostrato di andare forte in salita, con uno stile di affrontare le montagne molto semplice e privo di tattiche: io scatto, chi mi ama mi segua. Ed erano pochi quelli in grado di sostenere il ritmo infernale imposto dallo scalatore della Carrera. Passato lo Stelvio senza grossi scossoni, le prime rampe del Mortirolo accendevano il turbo di quello che diventerà per tutti “il pirata”. Su quelle pendenze tante ammiraglie si fermavano in panne con frizioni bruciate, ma il cambio automatico di Pantani era impostato fisso sulla quinta e lo portava in vetta con un discreto margine su Indurain e Berzin. Chiappucci è un puntino lontano lontano.

Qui l’istinto lascia lo spazio alla testa. Pantani rallenta ed aspetta “Miguelon” e “Cacaito” Rodriguez: il traguardo è lontano ed il lungo falsopiano potrebbe tagliare le gambe ed i sogni di gloria. Ma non appena si ricomincia a salire verso il Santa Cristina, non ce n’è per nessuno. La gara dietro si faceva serrata, con tutti a fare i conti sulla punta delle dita per la maglia rosa. Lui, da solo, davanti planava verso l’Aprica con quasi 3′ sul suo capitano, primo degli inseguitori. Un mostro aveva sconquassato il ciclismo.

Pantani chiuderà quel Giro al secondo posto, dietro a Berzin che riuscirà a compiere un’impresa che pochi ricordano. Per tutti, infatti, quello è il Giro in cui è nata una leggenda, la storia di un uomo di mare che scalava le montagne come nessuno, un ragazzo che non si poteva non amare per come correva. Era iniziata la carriera vera di Marco Pantani, e tutti capirono che il segno che avrebbe lasciato sarebbe stato indelebile.

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