Niente Imu per la Chiesa, ora spetta al quoziente familiare

Nei giorni di forti tensioni politiche, dovute al caso Ruby, in cui la Chiesa è dovuta intervenire, suo malgardo, per esprimersi ufficialmente sulla vicenda, arrivano segnali di distensione tra governo e Chiesa cattolica.

La seconda bozza sul federalismo fiscale, infatti, prevede che l’Imu (l’imposta municipale unica, che andrebbe a sostituire l’ici e le altre imposte comunali) non si applichi sui beni della Chiesa, anche quelli utilizzati a fini diversi da quelli direttamente connessi all’attività religiosa, come ospedali, scuole, ospizi, ecc.

La bozza viene dopo una prima stesura, in cui invece tali beni venivano soggetti a tassazione, per evitare un richiamo della UE, dato che già una volta c’era stata una bocciatura in tal senso sull’Ici, in quanto l’esclusione dei beni ecclesiastici dal pagamento dell’imposta veniva considerata un aiuto di stato alla Chiesa.

Il segnale che il governo intende mandare alla Chiesa è di una forte disponibilità al dialogo. Ma i vescovi e lo stesso Vaticano, pur apprezzando la decisione di ieri sull’Imu, puntano a una politica complessiva, in favore delle famiglie.

Per quanto riguarda la parte economica delle richieste della Chiesa, infatti, due sono i punti sul piatto: federalismo fiscale solidale e quoziente familiare.

Sul primo, i vescovi italiani chiedono che l’applicazione del federalismo avvenga con meccanismi di solidarietà e di sostegno alle parti più povere del Paese; sul secondo, si punta a un fisco differenziato, che tenga in considerazione il reddito, in rapporto al nucleo familiare, sgravando i redditi delle famiglie, man mano che aumenta il numero dei loro componenti. 

Punti che fanno già parte del programma di governo.

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