Il petrolio e l’Egitto, tutti guardano a Suez

Il prezzo del brent è schizzato oltre la soglia psicologica, e non solo, dei cento dollari al barile; un livello mai così alto, da quando era iniziata la recessione negli USA, nel mese di ottobre del 2008.

Le previsioni, tuttavia, non sono confortanti, perchè ci sarebbero forti pressioni, all’interno dell’Opec, per mantenere il prezzo del greggio in un range tra 100 e 110 dollari al barile, giudicando i livelli attuali dei prezzi bassi, rispetto alla congiuntura internazionale.

Spinge in tal senso l’Iran, che vorrebbe soprattutto imporre la sua forza politica ed economica sull’ostile Occidente, come già avvenne nel 1979, all’arrivo dell’ayatollah Khomeini al potere.

Ma a preoccupare i mercati c’è adesso il fattore Egitto. L’Egitto controlla il Canale di Suez, nel Mar Rosso, da cui passano ogni giorno circa 2,1 milioni di barili di petrolio, trasportati sulle navi, che evitano così di circumnavigare l’Africa, per raggiungere i mercati di sbocco.

Ma la crisi politica dilaniante del Paese starebbe facendo temere pesanti ripercussioni sulla possibilità futura di trasporto del greggio, soprattutto, in uno scenario in cui si intravederebbe una possibile ascesa al potere dei movimenti fondamentalisti islamici.

Se il Canale di Suez fosse chiuso, infatti, il primo effetto sarebbe una lievitazione dei prezzi del petrolio, perchè i costi di trasporto aumenterebbero in modo esponenziale, a causa del molto più lungo tragitto.

Certo, per ora rimane solo un’ipotesi, un timore legato a previsioni fosche. Ma al momento basta, per tenere alta la tensione sui prezzi.

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