Suicida a Catania: si butta nel vuoto dopo un provvedimento disciplinare

Catania, lunedì 28 marzo: questa settimana si apre con la cronaca che vede ancora una volta il suicidio di un cinquantenne, lanciatosi nel vuoto dal palazzo in cui aveva sede l’azienda per la quale prestava servizio, un’impresa di pulizie, vicino al lungomare di Ognina della città di Catania. Secondo le prime indagini, il suicidio sarebbe stato scatenato da un provvedimento disciplinare che lo vedeva coinvolto in un’inchiesta interna della società per una serie di furti subiti proprio dall’azienda stessa. L’uomo è stato prontamente soccorso dagli addetti del 118, ma quando è arrivato al pronto soccorso dell’ospedale Cannizzaro di Catania era già deceduto. Si chiamava Antonino Lanza e la società presso la quale prestava servizio è la Pubbliservizi, che si occupa delle pulizie di giardini e scuole, incaricata dalla stessa provincia regionale di Catania.

L’indagine interna dell’azienda riguarda il furto di un automezzo presso uno dei magazzini che si trovano a Misterbianco. L’uomo era stato ritenuto una figura marginale, ma quando si è visto recapitare l’ordine di sospensione dal lavoro si è sentito nuovamente tradito dal sistema.

I familiari hanno asserito che aveva paura di perdere questo posto di lavoro, che gli serviva per mantenere la famiglia. L’uomo, già nonno, lascia moglie e quattro figli. In passato aveva lavorato presso la Cesame, una società catanese che si occupava della produzione di sanitari, che lo aveva messo in mobilitazione in seguito al fallimento dell’azienda stessa. Da un anno era riuscito a ottenere questo impiego che gli garantiva una certa solidità, finché non è in iniziata l’inchiesta per furto.

I colleghi davanti la camera mortuaria hanno ribadito che più volte avevano lamentato la scarsa efficienza dei mezzi di sicurezza e che vedevano l’inchiesta a carico di un loro collega -che poi ha avuto il tragico risvolto- un’offesa al lavoro svolto. L’uomo, già colpito da vicissitudini  tali per cui aveva l’incubo della disoccupazione, non ha retto al timore di un’eventuale imputazione per furto o di ritrovarsi nuovamente dinanzi la sua famiglia senza la garanzia di uno stipendio guadagnato onestamente.

I colleghi ancora sconvolti hanno affermato di essere vittime dell’azienda e non carnefici. Temono che l’inchiesta a danno dei colleghi sia solo lo spunto per un capro espiatorio: Sarebbe come subire la beffa dopo il danno, un danno, in questo caso veramente atroce.” hanno asserito con veemenza.

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