Aprendo un convegno di lavori, presso la sede centrale romana della Banca d’Italia, ieri il governatore Mario Draghi ha ripercosso alcune delle sue analisi, che ha avuto modo di esplicitare nel corso degli ultimi mesi. Draghi ha ricordato come l’Italia sia cresciuta del 25% negli anni Ottanta, del 16% negli anni Novanta e solo del 7% dall’inizio del nuovo millennio, mentre, aggiunge, i Paesi UE crescevano in media del 14%. Poi, nel biennio di recessione, abbiamo perso il 6,5% del pil, contro una media del 3,5%; il significato di queste cifre è, dunque, che l’Italia ha perso terreno, rispetto ai livelli di pil degli altri stati europei.
Punti di forza degli ultimi anni sono stati, invece, la solidità del sistema bancario, che ha retto di gran lunga meglio la crisi, che tutti gli altri sistemi europei, nonchè l’indebitamento netto (interessi sul debito esclusi), che mostra per la prima volta da quando abbiamo adottato l’euro un’incidenza inferiore sul pil, rispetto agli altri stati UE.
E, tuttavia, aggiunge Draghi, il rapporto tra debito e pil è del 119%, non molto più basso dagli inizi degli anni Novanta, quando però vi erano prospettive più alte di crescita, grazie anche alla popolazione più giovane, quindi, esso era allora maggiormente soggetto a una sua riduzione.
Ma le negatività del sistema-Italia, secondo il governatore di Bankitalia, non significa che non ci siano aspetti positivi da tenere in considerazione: anzitutto, la presenza di imprese dinamiche e di capitale umano giovane ad alto potenziale.
La crescita potrebbe essere rilanciata puntando su questi fattori, ma evitando di dilatare ancor di più la spesa pubblica, così come non appare convincente la tesi, per cui la ricerca e lo sviluppo passano per il sostegno pubblico. Bisogna puntare, continua Draghi, su politiche di sostegno alla ristrutturazione delle imprese, nonchè ad accrescere la concorrenza del sistema produttivo.





