Something old, something new, something Wilco

In gergo ormai si chiama Pull a Radiohead. Ovvero: band sulla cresta dell’onda, forte di un consenso di fan e critica ai suoi massimi, decide di rompere con la casa discografica e di distribuirsi da sola, magari fondando una nuova etichetta o al massimo appaltando il nuovo album al migliore offerente, ma senza più alcun tipo di ingerenza dall’alto. Dopo i cinque di Oxford sembra che questo momento sia arrivato anche per i Wilco, paladini di quello che un tempo veniva chiamato alt- country e ora è un miscuglio in grado di tenere insieme hipsters attempati, i loro genitori, gli amanti del virtuosismo strumentale, gli indiani padani con cappello e stivali e i semplici appassionati di belle canzoni. Il prossimo album, che è quasi pronto e forse sarà doppio, verrà pubblicato dalla loro etichetta, la neonata dBpm Records, e sarà nei negozi verso fine anno.

Ora, senza andare a scomodare i più maligni, che parlano dei Wilco come dei capostipiti del dad rock, ovvero quel rock che piace tanto anche al tuo papà, è il caso di riflettere e chiedersi: cosa rende i Wilco tanto speciali, in fondo? Le basi, lo sappiamo tutti, sono quelle ben presenti nel primo album: tradizione americana a metà tra rock da radio FM (in Italia si direbbe da Virgin Radio) e country strappalacrime, grandi melodie, produzione senza fronzoli, e la gran voce e il gran cuore di Jeff Tweedy a impacchettare il tutto.

Eppure su questa ricetta così apparentemente banale col tempo si è andato ad innestare qualcosa di diverso: dal mellotron sognante di Summerteeth alla produzione straniante di Jim O’Rourke (rumori, onde radio, intermezzi noise) sui due album di metà anni 2000, fino agli assoli chilometrici del guitar hero Nels Cline che adornano gli ultimi due album, la discografia dei Wilco è piena di tocchi obliqui, che testimoniano di una continua voglia di sperimentare. Così non sai mai cosa ti può capitare: al fan fissato col suono ammerigano che si aspetta pane e slide guitar viene mal di testa con i dieci e passa minuti krauti di Spiders (Kidsmoke); il ventisettenne con le Converse che li ha guardati in streaming su Pitchfork sbadiglia col country conservatore di Sky Blue Sky. Risultato? Una grande occasione sprecata, o, in casi più rari ma sicuramente più preziosi, un nuovo universo musicale che si apre anche per chi per natura sarebbe portato ad ascoltare altro.

Tweedy e soci sono l’esempio di come è possibile cambiare e crescere senza rinnegare sé stessi: tant’è che il rock spensierato di qualche pezzo di A.M. fa ancora capolino nelle scalette dei loro concerti. Con tutti i pezzi forti della loro discografia ormai nutrita, questi quarantenni sembrano avere l’atteggiamento dei genitori saggi che ormai sono diventati nella vita di tutti i giorni: “ecco i nostri gioielli, sono tutti di differente fattura ma tutti nostri, non avrebbe potuto farli nessun altro, o almeno non con questa cura e in questo delizioso ordine sparso”. C’è da scommettere che anche con il nuovo album la famiglia Wilco si arricchirà di qualche nuova, preziosa sfumatura inedita.[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=cBhj73WtiZU[/youtube]

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