Si aggrava sempre di più la situazione nello Yemen, da mesi ormai in preda a manifestazioni di protesta contro il regime di Alì Adbullah Saleh, al potere di Sana’a dal 1979. L’ultimo episodio di violenza risale a ieri, quando un commando militare ha fatto irruzione presso alcuni edifici della capitale, in mano al potente capo tribale Sadek al Ahmar, uccidendo almeno ventiquattro persone. Pare che nel conflitto a fuoco abbiano perso la vita anche quattordici soldati, portando complessivamente a trentotto il numero delle vittime. Il blitz sarebbe dovuto all’appoggio che il clan di al Ahmar avrebbe concesso alle opposizioni, che chiedono l’introduzione della democrazia. Subito dopo l’eccidio, il presidente Saleh ha dichiarato che non si farà trascinare in una guerra civile. Una puntualizzazione che stride con la realtà. La protesta, infatti, nasce in concomitanza con i subbugli nel mondo arabo e nelle prime giornate di manifestazioni anti-regime era stato lo stesso Saleh a tendere la mano agli oppositori, chiarendo di non volersi più ricandidare alle prossime presidenziali e di adoperarsi per una transizione pacifica.
Dopo le prime settimane con toni pacifici, tuttavia, la situazione è degenerata, con vittime numerose in vari scontri con la polizia e con un Saleh che ha così tante volte cambiato opinione sul suo futuro prossimo da fare sprofondare il Paese nel caos, esacerbando gli animi delle piazze. Si è resa necessaria una mediazione da parte del consiglio degli stati del Golfo, i quali avevano proposto a Saleh un accordo che prevedeva di lasciare il potere entro due mesi, passando le insegne al vice e dando vita a nuove elezioni democratiche. Più volte il presidente yemenita ha espresso la volontà di firmare e più volte ci ha ripensato all’ultimo minuto, anche quando era stata concessa una sorte di immunità a lui e al figlio, che avrebbe impedito azioni penali per i crimini commessi in 32 anni di regime.
La scorsa settimana, l’azione clamorosa: la sede in cui i delegati di USA, Onu e gli stati del Golfo stavano discutendo i negoziati per un accordo pacifico nello Yemen è stata circondata dai militari di Sana’a, su ordine di Saleh, tanto che i diplomatici sono dovuti fuggire su un elicottero.
La sensazione è che il presidente si trovi in una sorte di stato di disperazione e che la crisi, iniziata come pacifica, stia degenerando verso una sorta di guerra civile, che ne dica o meno Saleh.





