L’estate calda della Grecia tra proteste e incubo default

Due giorni fa, davanti al Parlamento di Atene, circa 80 mila persone, tra cui molti giovani, si sono radunati per gridare tutta la loro rabbia contro il piano di austerità imposto dal governo socialista di George Papandreou, indispensabile per ricevere subito i 12 miliardi di aiuti di UE e Fmi, nonchè per accedere a ulteriori finanziamenti per 60-70 miliardi di euro. Il tutto è assolutamente necessario per potere evitare la bancarotta dello stato ellenico, che implicherebbe la fuoriuscita del Paese dall’euro e l’allontanamento dei greci dall’Europa e dall’Occidente, sprofondando chissà dove. La situazione è gravissima e c’è il rischio serio che i greci debbano dichiarare lo stato di insolvenza. Per questo, Bruxelles ha imposto al governo di raggiungere senza possibilità di tentennamenti il quasi-pareggio di bilancio nel 2015, così come il varo di un piano di privatizzazioni per almeno 50 miliardi da attuarsi in un lasso di tempo di quattro anni e che impedirebbe alla Grecia di fare salire il rapporto tra il suo debito e il pil, esploso ormai al 150% del pil.

E da qui al 2015 ben 28 miliardi saranno trovati con nuove imposte su lavoro e pensioni, pari a circa 12-13 punti del pil. E già lo scorso anno gli stipendi dei dipendenti pubblici erano stati tagliati del 30%.

Tanta la rabbia dei greci, ma è solo destinata a crescere e questo fa paura ad Atene, così come alle altre capitali europee, ben consapevoli che difficilmente potranno essere varate misure serie e strutturali in un clima di così forte opposizione sociale. Per questo i tedeschi non volevano erogare nuovi aiuti; per questo Bruxelles ha tentennato nel concedere alla Grecia la quinta tranche di 12 miliardi.

Eppure, la Grecia paga per la sua furbizia e la sua politica delle cicale, che hanno favorito i pensionamenti a 52 anni, così come l’esplosione degli stipendi del pubblico impiego; il tutto ben mascherato da conti pubblici truccati che nascondevano la reale situazione di collasso finanziario a cui il Paese stava andando incontro.

Sabato, mentre i politici entravano o uscivano dalla sede del Parlamento, i manifestanti gridavano loro “Ladri, ladri”, una sorta di remake dell’Italia del ’92, che anche allora rischiò del tutto di collassare finanziariamente. Difficile che Atene esca fuori dai guai, con questa classe politica. Più che essere “indignati”, come si autodefiniscono i manifestanti, dovrebbero a ragione essere “disperati”.

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