Yemen, da Riad voci su permanenza Saleh in Arabia

Il presidente dello Yemen Alì Abdullah Saleh, 69 anni, starebbe reagendo molto bene all’operazione che ha subito in Arabia Saudita, in seguito a un attentato che lo ha coinvolto con scheggie che gli sarebbero rimaste conficcate in viso e al petto. Lo ha dichiarato il vice-ministro dell’informazione di Riad, Abdu al-Janadi, smentendo così le voci che lo vorrebbero ancora in condizioni critiche, soprattutto a livello respiratorio. Ma sempre da Riad un’altra voce, che ha voluto rimanere anonima, ha dichiarato che Saleh non farà più ritorno nello Yemen, smentendo le dichiarazioni del vice-ministro dell’informazione che aveva parlato di un suo ritorno imminente al palazzo presidenziale di Sana’a. Dunque, sul futuro dell’ormai quasi deposto presidente yemenita si è aperto un giallo che probabilmente sarà destinato a durare non a lungo. Nella sua capitale, infatti, dove ha per 33 anni esercitato un potere illimitato, gli stessi oppositori ormai ragionano in un’ottica del dopo-Saleh, quasi che tutti avessero preso atto che il vecchio presidente non è più in carica.

I poteri sono ora nelle mani del vice-presidente, sebbene solo temporaneamente. Non per questo, però, la situazione politica sembra andare verso una schiarita. Infatti, il cosiddetto “dopo-Saleh” resta tutto da valutare. Lo scenario dell’accordo, che il presidente dello Yemen ha sempre rifiutato di sottoscrivere, che prevedeva nuove e libere elezioni entro due mesi dalle sue dimissioni, sembra in parte mutato, perchè nelle proteste anti-governative si sono inserite fazioni che lasciano intravedere altri orizzonti, persino peggiori di quello che fino ad ora la popolazione yemenita ha vissuto.

Infatti, da sud avanza il tentativo di forze legate ad Al Qaida di conquistare il controllo di pezzi del Paese, fino ad arrivare a Sana’a. Un tentativo fin’ora bloccato solo dall’intervento degli americani, i quali pur concordando con un’uscita di scena di Saleh, temono che il Paese possa passare nelle mani di forze estremiste vicine al terrorismo internazionale.

C’è poi tutta la questione complessa degli scontri tribali, che sembrano palesare uno scenario simile all’Irak del dopo-Saddam Hussein, con fazioni che si contrappongono per il controllo dello stato, anche se in questa fase hanno un pò convenuto nel mettere insieme le forze al fine di combattere il nemico comune.

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