Cina, ora imprese temono fuga dei lavoratori

La Cina è un Paese che non finisce di stupire, perchè la velocità con cui si sta trasformando consente a noi occidentali di notare in essa tutte le  nostre evoluzioni ottenute in decenni o anche secoli di progressi economici, ma in un arco di tempo molto più ristretto.

Strana storia quella della Cina di oggi, considerata la fabbrica del mondo, ma che fino a pochi anni fa era ancora un Paese alla ricerca di una via per lo sviluppo.

I tassi di crescita non accennano a diminuire, attestandosi al 10% annui, nonostante il rialzo consistenti dei tassi e le restrizioni al credito. Ma già si affacciano in Cina alcuni dei problemi tipici delle società più evolute: il costo della vita e della manodopera. Sì, perchè da mesi a questa parte, l’inflazione è tornata a correre e viaggia oltre il 5%, su base annua. Ciò non sta avendo tanto ripercussioni sul costo dei beni intermedi, che rimangono ancora a buon mercato, quanto conseguenze sul mercato del lavoro.

La forte domanda di lavoratori cinesi, congiuntamente alla crescita dei prezzi, stanno determinando una situazione di accresciuto turnover tra lavoratori e manager, in molte imprese già al 30%. Ciò significa che quasi un terzo della manodopera ogni anno tende a lasciare l’impresa per cui lavora, per andare a lavorare in un’altra, in cambio di una paga migliore. 

Insomma, una concorrenza all’incontrario, rispetto allo scenario a cui siamo stati abituati negli ultimi anni e che ha già comportato un rialzo medio dei salari del 17% all’anno, circa il 12-13% in più dell’inflazione, con un miglioramento del potere di acquisto, in termini reali, abbastanza evidente.

Il benessere avanza, quindi, anche nelle fabbriche-casermoni cinesi, in cui alle condizioni degradanti di vita dei lavoratori fa sempre più da contraltare una mobilità del lavoro che ne aumenta il costo.

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