Ministro al tramonto

Ieri, a Pontida, molti si attendevano da sinistra toni di scontro tra il leader del Carroccio Umberto Bossi e il premier Berlusconi. Erano già pronte le sirene del PD e dei centristi a invitare il popolo leghista, che hanno disprezzato per anni, ritenendo la Lega Nord una formazione razzista, anti-europeista e di istinti rozzi, a rompere con questo governo e a creare un remake del ’94, con un ribaltone anti-berlusconiano. E, invece, da Pontida sono giunte sì parole dure, ma contro la sinistra, con espressioni colorite che non è bene qui riportare, che hanno avuto l’indubbia capacità di fare capire che le camicie verdi sono tanto arrabbiate, anche con Silvio, ma al momento di rottura non se ne parla. L’espressione più forte del Senatùr contro il premier è stata: “Berlusconi leader nel 2013? Vedremo”. Un modo per dire che Silvio potrà guidare ancora la coalizione, ma se sarà in grado di fare le riforme che la pancia dell’elettorato della maggioranza chiede a gran voce da anni. Insomma, meno di così non avrebbe potuto dire Bossi, deludendo i corvi ribaltonisti e quanti già erano pronti a raccogliere la sfida di un governissimo, magari guidato da un Tremonti.

E proprio quest’ultimo, tuttavia, raccoglie le critiche più dure della base e dello stesso Bossi, che quando si riferisce al ministro dell’economia afferma: “Ha fatto cose vergognose”, riferendosi ai suoi tagli indiscriminati sui comuni, nonchè alla sua politica di “persecuzione” fiscale, contro i ceti produttivi del Paese.

Parole forti, espressioni da comizio, da Lega, ma sufficienti a sottolineare un dato: l’alleanza di ferro tra Tremonti e la Lega è finita. Il ministro super-coccolato dal Senatùr e i suoi uomini non gode più l’appoggio dei leghisti, i quali si sono resi conto che proprio la sua ostinazione contro la riforma fiscale è stata alla base della debacle di Lega e PDL alle recenti elezioni amministrative.

D’altronde, come spiegare la frenesìa leghista per il taglio delle tasse di questi giorni, se non come un avviso a Tremonti, che è il custode dell’economia e del bilancio dello stato. Certo, il ministro vanta ancora la possibilità di appoggi interni alla Lega, specie da quell’ala, guidata da Roberto Maroni, che aspira alla successione a Bossi, contrastandone le scelte, ma sembra chiaro che il disco s’è rotto e adesso il ministro che ha snobbato il partito a cui ufficialmente appartiene (il PDL), potendo fare il bello e il cattivo tempo del governo, senza difese “esterne”, rischia una fine non prevista: il tramonto.

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