Apple, Google e il diritto di recesso sulle applicazioni

Tutti coloro che sono in possesso di uno smartphone Android, Apple o Windows Phone hanno una caratteristica in comune: un negozio di applicazioni dal quale poter scaricare applicazioni gratuite (se fossero tutte così, non ci sarebbe bisogno di scrivere questo articolo) e applicazioni a pagamento.

Una caratteristica che è prevista generalmente nei prodotti elettronici è il cosiddetto diritto di recesso, o se preferite, la garanzia “soddisfatti o rimborsati”. Purtroppo questo diritto non sembra essere concesso nè da Apple nè da Google. Infatti, questo diritto è semplicemente una scomodità notevole per chi vende le applicazioni su queste piattaforme. Il motivo? Il venditore è costretto ad aumentare il tempo di acquisto (da immediato a 7 giorni di tempo), ma soprattutto deve offrire la garanzia di un prodotto di qualità, pena la restituzione del denaro al cliente.

Di recente in Taiwan è scoppiato un caso del genere, in quanto il governo locale ha dettato delle linee guida obbligatorie da seguire nella compravendita di applicazioni. In particolare, i consumatori avranno diritto a sette giorni per poter esercitare il diritto di recesso.

La reazione di Apple e di Android è stata molto diversa tra di loro: mentre la società di Steve Jobs ha deciso di adeguarsi di buon grado (offrendo ai consumatori i 7 giorni di tempo previsti dalle nuove norme del governo locale), Google avrebbe deciso di eliminare il problema alla radice: in Taiwan niente applicazioni a pagamento. E questo dopo che la società di Mountain View ha dovuto pagare una sanzione di 34.000 dollari.

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