USA, inevitabile il “downgrade”

Mancano due settimane al 2 agosto, la data in cui il debito USA raggiungerà il livello massimo consentito dei 14.300 miliardi di dollari. Se non verrà innalzato il tetto sul debito, cosa che passa per un accordo con l’opposizione dei repubblicani, si andrà verso un default, a causa della non possibilità di pagare ulteriori spese.

Ora, è molto probabile che ciò non accada, che alla fine si trovi un accordo minimo, limitato solo ad evitare la bancarotta. Ma il fatto che non si vada verso il default non implica che per magia gli USA non avranno i ben noti problemi. Il deficit federale si attesta al 10% del pil, mentre il debito è intorno al 100%. Ciò, al fronte di un rallentamento dell’economia e di un forte passivo commerciale.

Ci sono tutti gli ingredienti per prevedere anche un indebolimento del dollaro, dopo l’annuncio della Fed di un possibile piano Q3, ossia di una politica di “quantitative easing”, che aggraverebbe la situazione già catastrofica del debito federale e spingerebbe al rialzo l’inflazione, causando un ulteriore rallentamento della crescita del pil.

Comunque vada, salvo che improvvisamente la Casa Bianca si riscopra rigorista, non ci sarà l’auspicato piano di riduzione del deficit, almeno non nella misura desiderata dai mercati. Il debito continuerà a salire, così come il deficit rimarrà a livelli molto alti. Per questo, è prevedibile che Moody’s e Standard & Poor’s diano seguito a quanto già avevano minacciato, ossia al declassamento del debito americano, abbassando il rating sui Treausuries e facendo loro perdere l’immeritata tripla A.

 

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