Monti invita a “patriottismo economico” e ha ragione

Un articolo sibillino dell’economista Mario Monti, da molti accreditato come possibile successore di Tremonti al ministero di via XX Settembre, sabato sul “Corriere della Sera” non poteva essere più esplicito riguardo a ciò che egli ha definito “un governo tecnico di fatto”, accettato dal premier e dalla sua maggioranza. Monti si riferiva alle pressioni di BCE e UE sul nostro governo affinchè assuma determinate posizioni pubbliche, oltre che legislative, in cambio di soccorso. Una situazione che l’economista filo-europeista giudica, seppur necessaria, una sorta di commissariamento della politica italiana da parte di Bruxelles e una perdita di dignità nazionale. Per questo, lo stesso Monti ha invitato la politica a uno scatto di “patriottismo economico”, inteso non nel senso protezionistico del termine, ossia ponendo barriere ai capitali stranieri o improbabili dazi, etc., quanto come una sorta di agenda nazionale di riscatto dal declino in cui l’Italia si sarebbe incagliata.

Ma cosa significa davvero la proposta di Mario Monti? Ed è realizzabile con questo clima, in Italia? Non è semplice decifrare cosa si nasconda dietro l’affermazione di “patriottismo economico” che, se non riempita di contenuti, rischia di prestarsi a interpretazioni discrezionali.

Tuttavia, pare di capire che l’economista, già commissario europeo per due mandati, nominato prima da Berlusconi nel ’94 e poi confermato da D’Alema nel 1999, voglia esortare la politica italiana a non farsi suggerire da Bruxelles o Francoforte quanto abbiamo necessità di fare, ma di precederli con un’agenda autonoma ed efficace. L’invito di Monti è stato da molti letto come un attacco al governo Berlusconi, ma forse non è così. Pensare, infatti, che sia dignitoso che a decidere cosa debba essere fatto a Roma per rispondere alla crisi dei mercati sia deciso a Bruxelles, o peggio, a Berlino, è del tutto impossibile.

Eppure, le misure che il governo italiano si appresta a varare, come le liberalizzazioni e le privatizzazioni, non sono una stramba proposta europea, ma fanno parte del dibattito politico nazionale da oltre venti anni. Bisognava attendere l’esplosione dei rendimenti sui BoT per capire che l’Italia deve rendere più concorrenziale l’economia, che deve privatizzare i suoi assets ancora statali, che deve tagliare la spesa improduttiva e i costi della politica, per potere raggiungere un bilancio ordinato e, quindi, anche l’obiettivo di un fisco più leggero?

Evidentemente no, ma la pochezza di chi ha gestito l’economia ha reso tutto questo inevitabile. E Berlusconi non dovrebbe farsi sfuggire l’occasione di dare spazio ai suggerimenti di persone come Monti, su cui almeno non pesa come un macigno il fallimento di oltre sette anni di guida al ministero dell’economia.

 

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