Bufera nella BCE, lascia tedesco Stark

Svolta clamorosa nelle divisioni interne alla Banca Centrale Europea. Il banchiere tedesco Jürgen Stark, componente del board dell’Eurotower, ha annunciato le sue dimissioni per “motivi personali”. Ma nessuno crede alla motivazione ufficiale. Tutti sanno che la decisione di Stark è stata assunta in polemica con il nuovo corso della BCE, che aveva visto proprio la sua contrarietà.

Riassumiamo brevemente le lacerazioni degli ultimi mesi. In qualità di componente tedesco del comitato esecutivo, Stark aveva premuto all’inizio dell’anno per un’azione restrittiva della politica monetaria. Era stato il fautore dell’aumento dei tassi al fine di combattere l’inflazione. La decisione non aveva convinto quanti, al contrario, ritenevano che una politica più accomodante sarebbe stata più funzionale al sostegno della fragile crescita nell’Eurozona. Ma è con i salvataggi degli stati in crisi che si apre la crepa tra Stark e il resto del board. Sostenitore della politica del rigore, il tedesco aveva osteggiato l’acquisto dei bond governativi da parte di Trichet, al fine di calmierarne i rendimenti sul mercato secondario. Secondo Stark, tale manovra creava problemi di azzardo morale. Lo stesso dilemma era poi sorto in seguito al sostegno di Francoforte dei bond italiani e spagnoli, su cui il banchiere tedesco aveva storto il naso. E anche quando si era vociferato della possibilità di un default pilotato della Grecia, Stark si scagliò contro il possibilista Axel Weber, ministro delle finanze di Berlino.

Le dimissioni di Stark potranno anche far tirare un sospiro di sollievo a quanti, tra cui l’Italia, immaginano che un corso più morbido di Francoforte possa portare maggiori benefici agli stati in difficoltà. Ma il suo addio pone un interrogativo sulla natura della BCE. Soprattutto con l’arrivo di Draghi, è necessario che Francoforte confermi la sua anima monetarista e la sua visione rigorista, se vorrà continuare a ottenere la fiducia dei mercati e degli stessi stati.

Stark ha posto un problema culturale di non scarsa importanza per la sopravvivenza dell’Eurozona. Vogliamo un’Unione di debiti e di lassismo o vogliamo iniziare a dire che ciascuno deve mantenere i conti in ordine e chi sbaglia non può sempre essere salvato con i quattrini altrui?

Lo stesso dicasi sul fronte dei tassi. E’ molto più popolare ridurre i tassi di riferimento, in una situazione congiunturale critica, ma il rischio è che l’inflazione vada fuori controllo e ci ripiomberemmo negli anni Settanta, quando la stagnazione del pil fu accompagnata da un’inflazione a due cifre. A meno che non vogliamo immaginare di seguire il pessimo esempio della Fed, che dopo avere fatto sprofondare il sistema americano in un circolo vizioso di crescita drogata da inflazione e debiti, ripercorre oggi lo stesso disastro, per altro senza neanche riuscire a far aumentare il pil. Stark si è dimesso, ma non c’è proprio nulla da festeggiare. Nemmeno per le cicale italiane.

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