Cina, previsto raffreddamento crescita e fuga da banche statali

A Pechino, la priorità si chiama lotta all’inflazione. Perchè, se i ritmi di crescita quest’anno non dovrebbero andare al di sotto del 9%, dopo un già ottimo 10% nel 2010, il timore è che tutto ciò si stia ripercuotendo negativamente sui prezzi, con un tasso d’inflazione sopra al 6%, oltre il 10% per i beni alimentari, ossia per quelli più “sensibili”, da un punto di vista sociale.

E c’è anche il rischio che l’eccesso di credito, utilizzato a scopi immobiliari, finisca per gonfiare una grossa bolla, il cui inevitabile scoppio determinerebbe un grande Lehman Brothers asiatico. Per questo, da un anno la banca centrale di Pechino è impegnata a contenere la crescita monetaria, che continua imperterrita per il tramite del canale estero, grazie a un tasso sottovalutato dello yuan. Maggiori tassi di interesse, dunque, e imposizione di coefficienti di riserva obbligatoria più alti per le banche.

Per questo, già sul finire dell’anno, anche a causa della congiuntura internazionale e per effetto delle politiche fiscali restrittive in Europa e USA, la Cina prevede un rallentamento deciso del suo tasso di crescita, accompagnato da una riduzione della crescita dei prezzi.

Ma mentre le banche private si adeguano, aumentando i tassi sia sui depositi che sui prestiti, i colossi statali del credito, come Industrial & Commercial Bank of China, China Construction Bank, Bank of China e Agricultural Bank of China, nelle sole prime due settimane di settembre hanno visto scendere i depositi per 420 miliardi di yuan, pari a 65,7 miliardi di dollari. Il motivo? Continuano ad offrire ai risparmiatori rendimenti al 3,5%, quando i prezzi salgono mediamente del 6%. Per questo, pare vi sia in atto una fuga verso gli istituti di credito privati.

 

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