Grecia, olandese Knot (BCE) parla di rischio default

La Banca Centrale Europea non ha mai volutamente anche solo accennato alla parola default, essendo contraria alla sola ipotesi e convinta che agitare lo spauracchio della bancarotta di Atene non possa che scatenare la reazione disastrosa dei mercati. Ma ieri, il lessico di Francoforte è ufficialmente cambiato, sebbene da parte di uno dei membri del board, l’olandese Klaus Knot, il quale ha dichiarato di essere meno certo di un paio di mesi fa del fatto che la Grecia ce la possa fare e di essere convinto che il default sia un’opzione.

Parole dure, molto pesanti, che mettono in dubbio gli sforzi di Atene, ma di fatto ne sottolineano il mancato raggiungimento degli obiettivi, dato che le cifre parlano da sole. Eppure solo la scorsa settimana, il cancelliere Angela Merkel aveva voluto essere chiara: la Grecia non verrà fatta fallire. Ok, ma a quale costo? E fino a quando?

E’ proprio questo il punto, che il Fondo Monetario mette in luce: se il default non è un’opzione preferibile, ma questo può significare dare ad Atene soldi a ogni costo? Evidentemente, no. E si vocifera della possibilità di un default controllato, meno irruento di quello dell’Argentina nel 2001.

Ad oggi, il debito greco ammonta a 353 miliardi di euro. Essendo nelle casse delle banche di tutta Europa, una bancarotta travolgerebbe anzitutto il sistema creditizio del Vecchio Continente e scatenerebbe un’ondata di sfiducia glaciale verso i bond dell’Eurozona, a partire dagli stati molto indebitati, come Irlanda, Portogallo, Spagna e Italia.

Per questo, si studiano diverse soluzioni, tra cui la restituzione solo del 50% del valore nominale dei titoli, ma che certo non sarebbe poco indolore per gli investitori. E il costo della sfiducia graverebbe a lungo su Atene e sulla sua capacità di rifinanziarsi sui mercati.

 

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